Negli ultimi cinque anni la Francia è riuscita a diventare il terzo Paese al mondo per volume di armi vendute all’estero, dopo gli Stati Uniti e la Russia. Un ghiotto mercato che dipende però in gran parte da Paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. E una tecnologia che, secondo le prove raccolte da diverse organizzazioni non governative, viene sempre più spesso usata per ledere i diritti umani delle popolazioni o addirittura in zone di guerra, come in Yemen o in Libia, dove in teoria vige un embargo internazionale sugli armamenti.
Delle accuse a cui il governo francese ha sempre risposto ricordando che le esportazioni di armi dalla Francia vengono ogni volta autorizzate esplicitamente da un comitato interministeriale, sulla base di procedure rigorosissime. Che però rimangono classificate come materiale riservato, nel nome della sicurezza nazionale.
L’opacità del sistema e 35 proposte per renderlo più trasparente sono al centro di un rapporto parlamentare presentato questa settimana in parlamento da un deputato La Republique en Marche, maggioranza, e Les Républicains, opposizione di centrodestra. I due relatori hanno lavorato per quasi due anni, da quando è esploso lo scandalo delle armi francesi usate nella guerra in Yemen, a quella che loro stessi definiscono non certo una rivoluzione, ma una proposta che permetterebbe al parlamento di esercitare un maggiore controllo sulle scelte dell’esecutivo in materia di vendita degli armamenti.
Nel rapporto si immagina ad esempio la nascita di una delegazione parlamentare ristretta, che potrebbe consultare le licenze di esportazione (cosa al momento vietata), interrogare dei membri del governo e avere accesso a una serie di altre informazioni sensibili. Ma anche analizzare e commentare il rapporto annuale sulla vendita di armi, generalmente pubblicato in estate e poco dibattuto in aula, e organizzare una giornata di studio del rapporto che riunisca parlamentari, rappresentanti delle istituzioni, ONG, ricercatori e industriali.
Se è difficile che tutte le 35 proposte vengano recepite dal governo, per le associazioni il rapporto va nella direzione giusta. Come sottolinea uno dei due relatori: un controllo intelligente proteggerebbe la Francia da dei pericoli politici e giuridici sempre più seri.
Le ONG non si limitano più a manifestare e a militare contro la vendita di armi, ma conducono vere e proprie inchieste e raccolgono prove da far valere in tribunale. Da quando Parigi ha firmato, sei anni fa, il trattato sul commercio delle armi, lo Stato e gli industriali possono essere ritenuti responsabili quando le armi prodotte e vendute dalla Francia vengono usate per commettere delle violazioni dei diritti umani.