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Tratto dal podcast
Chassis di dom 08/11/20
Chassis | 2020-11-08
Federico Savonitto, co-regista di “In un futuro aprile. Il giovane Pasolini“, commenta a Radio Popolare il processo di ricerca che ha dato luce a questo documentario sull’adolescenza dell’artista e disponibile in streaming sulla piattaforma #IoRestoInSala.
L’intervista di Barbara Sorrentini a Chassis.
Come mai avete fatto questa ricerca che parte dai suoi anni giovanili?
Entrambi abbiamo sempre amato quel periodo. Francesco Constabile, che si è diplomato al Centro sperimentale di cinematografia di Roma, voleva farlo riadattando Amado mio, uno dei romanzi scritti da Pasolini in quel periodo, rimasto tra l’altro inedito finché Pasolini era in vita e pubblicato successivamente. Io mi sono diplomato invece al Centro sperimentale di Palermo, una sede specifica nel documentario, e ho fatto un film su Giuseppe Antonio Borgese, andando a cercare in lui alcuni elementi archetipici che ritornano anche in Pasolini e che forse c’erano già prima ancora in un autore come Dante. C’è il tema dell’esodo, del dover andarsene da casa, del non poter veramente mai tornarci… Per Pasolini, Casarsa non era esattamente la casa, è il luogo dove lui andava fin da ragazzino, il luogo della madre. Lui è nato a Bologna e quando d’estate, durante i primi anni di vita, andava a Casarsa si è innamorato di quei luoghi, ci ha fatto i conti per tutta la vita. L’idillio iniziale si è trasformato in una visione un po’ più cupa del Friuli quando le sue poesie sono state trasformate durante la fase di cambiamento della poetica pasoliniana, sia negli anni ’50 sia negli anni ’60. Ha riscritto le sue poesie e sono diventate La meglio gioventù, La nuova gioventù, quindi una visione di quei luoghi con più pessimismo. Questo film è nato da un’idea di Augusta Eniti, produttrice di altre forme. Noi siamo subentrati in seguito, entrambi per motivi diversi. Di Pasolini abbiamo sempre visto un sacco di lavori che affrontavano la morte, l’ultimo periodo in cui era giustamente diventato molto critico verso la nostra società, però pochissimi hanno visto questo periodo come un periodo di cui parlare. Non è un periodo molto conosciuto quindi ci sembrava giusto farlo conoscere perché è il momento in cui inizia tutto, si forma la sua poetica, ci sono certi elementi che torneranno più volte nella sua vita in modo anche escatologico.
Nel documentario avete anche incontrato Nico Naldini, cugino di Pierpaolo, che racconta anche alcuni momenti interessanti della loro adolescenza.
L’incontro con Nico Naldini è stato sicuramente molto ricco di spunti. Incontrarsi con lui è stato anche molto complicato, perché per quanto molto legato alla figura del cugino è a sua volta un autore molto importante, che ha scritto biografie di molti altri autori, ed è anche un importante poeta. Aveva la sua visione del mondo, spesso ben distinta da quella del cugino e noi abbiamo cercato di farne una forza del film. Nico Naldini per noi non è il portatore di racconti su Pasolini e basta, è un autore con la sua personalità ben chiara che a volte vuole distinguersi dal cugino.
Parliamo della questione delle poesie in dialetto e di quanto fosse sovversivo Pasolini già a utilizzarlo in tempi in cui veniva considerato da censurare.
Nel nostro documentario Naldini esplicita molto bene il motivo per cui Pasolini era rivoluzionario a scrivere delle poesie in friulano nel ’44. In quegli anni c’era il fascismo che impediva l’utilizzo dei dialetti perché riconosceva una potenza eversiva, che andava contro la volontà di coesione. L’altra grande rivoluzione che sta all’inizio della carriera pasoliniana è quella di decidere di occuparsi delle vite degli ultimi, in un modo potremmo dire caravaggesco perché così come Caravaggio utilizzava modelli presi dal popolo, così Pasolini conosce e descrive dei giovani che facevano una povera vita contadina. Per Pasolini questo è stato d’enorme ispirazione, venendo lui da una famiglia borghese di Bologna.