Sulla carta, e sulla carta non è ancora scritto tutto se è vero che il DPCM annunciato stamattina da Conte slitta di ora in ora, sarà un meccanismo automatico: le Regioni saranno divise in tre aree di rischio sulla base dell’andamento dell’epidemia sul territorio. Farà fede il report settimanale, anzi da oggi bisettimanale, dell’Istituto superiore di sanità.
Le aree di rischio saranno tre: Regioni a rischio alto, che si trovano nel più grave e compromesso degli scenari, il numero 4. A queste aree saranno imposte le restrizioni più dure. Poi ci sono le Regioni a rischio sempre alto, ma che hanno parametri di diffusione del contagio da scenario 3. Qui le restrizioni saranno rafforzate ma non estreme.
Per tutte le altre regioni, quelle messe meglio, varranno solo le nuove restrizioni imposte su base nazionale dal DPCM. L’inserimento di una Regione in una di queste tre categorie avverrà sulla base di un coefficiente di rischio elaborato sui 21 indicatori già sperimentati a partire dalla fine del lockdown di primavera: l’RT, quindi, l’indice di trasmissibilità, ma anche lo stato del sistema sanitario, l’efficacia del contact tracing, il tempo che intercorre mediamente tra insorgenza dei sintomi e diagnosi e molti altri.
“L’inserimento di una regione in una delle tre aree, con conseguente attivazione automatica delle misure previste, avverrà con un’ordinanza del Ministro della Salute“, ha detto oggi Conte in Parlamento. E qui iniziano le domande. Quali sono le soglie per il passaggio da un’area di rischio a un’altra? Sono state già fissate? Che ruolo è assegnato agli enti locali: avranno voce in capitolo, e quanta?
E le misure previste per le due aree a rischio più elevato in che cosa consistono? E ancora: i provvedimenti saranno uguali tra le zone della stessa area di rischio? O saranno modulati in base alle situazioni specifiche? Il lento e snervante precipitare nel lockdown generalizzato che tutti dicono di voler scongiurare è costellato oggi da molte domande e poche certezze.