Giorgio Albertazzi è morto nella sua casa in Toscana all’età di 92 anni, per un problema cardiaco.
Imperatore della scena o mattatore esorbitante? Seduttore per natura eppure capace di impallidire in scena per il dolore. Repubblichino mai pentito ma a fianco della sinistra nelle battaglie sociali. Inguaribilmente italiano ma insignito di riconoscimenti per avere recitato Shakespeare in Inghilterra.
E si potrebbe andare avanti a lungo di questo passo.
Sarebbe facile scegliere una delle molte etichette per incollare questo protagonista del nostro tempo nell’album dedicato al Secolo Breve. Ma non sarebbe onesto e nemmeno funzionale: quello che lo rende un grande era proprio la sua scarsa disponibilità a essere semplificato.
Un percorso lungo e pieno di colpi di scena, quello di Giorgio Albertazzi: dagli esordi con Visconti, che forse si era invaghito di lui, ai film e agli sceneggiati della neonata TV italiana, alle grandi produzioni con la regia di Zeffirelli e Squarzina, al sodalizio professionale e privato con un’altra mattatrice, Anna Proclemer, al teatro nelle fabbriche e nelle scuole, all’esperienza della regia e della direzione del Teatro di Roma, per approdare alle letture di Dante e alle lezioni di teatro con Dario Fo, di nuovo in TV, dove si era permesso anche un’incursione nel sabato sera di “Ballando sotto le stelle.”
La politica fu altra costante della vita di Albertazzi. A partire da quella adesione convinta e mai rimpianta alla Repubblica Sociale Italiana e al brutto episodio che lo vide partecipare a una fucilazione poco prima della Liberazione. Seguirono poi sporadiche esperienze con il centrodestra, sempre vanificate dalla acuta capacità di distinguere cose e persone, che faceva di Albertazzi un uomo troppo intelligente per essere qualificato come un politico.
Tuttavia, Albertazzi ebbe spesso modo di far notare come molte cose lo legassero al pensiero di sinistra: dall’anticlericalismo alle lotte per i lavoratori, dalla cultura come strumento da mettere a disposizione di tutti alle battaglie per i diritti civili con i radicali, oltre all’amicizia con artisti e intellettuali comunisti, come Squarzina, Visconti, la stessa Proclemer.
Giorgio Albertazzi, infine, è morto coerentemente a quanto aveva spesso affermato in vita: da non credente, come Kafka.