“Per farci salire l’autista del camion ha spostato e impilato i pacchi, poi li ha risistemati dietro di noi, chiudendo il passaggio. Eravamo nascosti in una specie di intercapedine lunga. Al buio era impossibile capire se fosse mattino o sera. Quando mancava l’aria, davamo colpi sulla parete dell’abitacolo per avvisare l’autista… Ogni minuto passato là dentro è stato più duro della traversata via mare”.
Maxima, siriana curda di 15 anni, ci racconta così un tratto di quel lungo viaggio che da Aleppo l’ha portata in Olanda, dove oggi vive.
Era il 12 agosto del 2015. Maxima, allora quattordicenne, stava seduta all’ombra in un parco di Belgrado, in attesa del trafficante che le avrebbe fatto proseguire il viaggio. Ancora non sapeva che sarebbe stata chiusa nel doppiofondo di un camion.
Chiusa in quel camion ha attraversato Ungheria, Austria e Germania per poi raggiungere l’Olanda. Prima ha dovuto affrontare il Mar Egeo, a bordo di un gommone. Ha percorso a piedi chilometri fino a vedere il sangue macchiarle le calze.
“ Per darmi coraggio- ricorda Maxima- mi dicevo: ‘Ce la farai, non ti succederà niente di male, sei abbastanza forte per questo viaggio’”.
Cresciuta ad Aleppo, Maxima ha abbandonato la città nel momento in cui la guerra è arrivata nel suo quartiere e dalla finestra della sua camera ha visto sollevarsi nubi spesse di cenere e il pulviscolo dei palazzi sbriciolati dai bombardamenti.
Maxima, perché hai deciso di abbandonare la Siria?
Con mio padre e mia madre, in molte occasioni avevo parlato della possibilità di partire per l’Europa… La guerra ha accorciato i tempi. Così i miei genitori hanno deciso di mandarmi in Europa con mio zio, che stava per partire.
E nel momento in cui hai deciso di partire cosa hai pensato?
Per darmi coraggio, mi dicevo: “Ce la farai, non ti succederà niente di male, sei abbastanza forte per questo viaggio”.
Cosa hai portato nello zaino?
Ci ho infilato tutto quello che ho trovato nell’armadio. Ma mia madre mi ha spiegato che il viaggio sarebbe stato lunghissimo e che sarebbe stata dura tenerlo sulle spalle. Ci ho messo due paia di pantaloni, magliette, due pigiami, una borsa più piccola con la mia spazzola, il sapone, lo spazzolino, gli elastici per i capelli, il mio profumo, uno specchietto.
Poi la partenza con tuo zio. Hai dovuto affrontare il mar Egeo: che ricordi hai della traversata sul gommone?
La barca di gomma mi sembrava piccola. Ero seduta al centro, sulla parte piatta. Non si respirava, mancava l’ossigeno perché sopra di noi erano ammassate altre persone. Eravamo coperti dalle valigie e dalle borse degli altri. Per questo durante la traversata non ho visto niente, tranne la luna, perché il mio viso restava scoperto, bloccato rivolto in su. Non potevo girare la testa, non potevo muovere le gambe, non le sentivo più. Poi l’acqua ha cominciato a entrare. E proprio perché non riuscivamo a muoverci non potevamo buttarla fuori. Se solo fossimo rimasti a bordo altri cinque minuti, saremmo morti tutti.
Un viaggio in cui hai attraverso i boschi di Macedonia e Serbia. Cosa ricordi di più di quel momento?
Ricordo in particolare una notte: non vedevamo nulla davanti e intorno a noi. Era così buio! Camminavamo fra gli alberi come fossimo tutti ciechi. Tenere gli occhi aperti o chiusi ero lo stesso. I miei vestiti rimanevano impigliati nei rami e andavo avanti senza poter vedere mia cugina a cui stringevo la mano. Ricordo che ogni tanto si vedevano gli occhi luccicanti degli animali del bosco. Molta gente del gruppo si è perduta. Solo al mattino ci siamo accorti che qualcuno mancava.
Maxima, mi parli ora di quel lungo viaggio nel cassone del camion...
Per farci salire l’autista ha spostato e impilato i pacchi, poi li ha risistemati dietro di noi, chiudendo il passaggio. Eravamo nascosti in una specie di intercapedine lunga. Al buio era impossibile capire se fosse mattino o sera. Quando mancava l’aria, davamo colpi sulla parete dell’abitacolo per avvisare l’autista. Stavo seduta per terra, non saprei dire sopra cosa, forse un materassino. Ogni minuto passato là dentro è stato più duro della traversata via mare e molto più impegnativo di qualsiasi lunga marcia nei boschi. Voglio dire alle persone che in futuro partiranno dalla Siria: venite in qualsiasi altro modo, ma non viaggiate dentro i camion.
Cosa hai pensato nel momento in cui sei riuscita ad arrivare in Olanda?
Quando i portelloni del camion si sono spalancati, la luce è entrata e allora ho pensato: “Sono libera”. Ci siamo guardati tra noi, avevamo il dubbio di non essere davvero arrivati, che l’autista non dicesse la verità. Invece eravamo in Olanda, lo abbiamo visto dalla posizione sul GPS: in quel momento ho capito che tutto è possibile e realizzabile.
Sapevi che in Europa c’erano molte persone che non vi volevano. Cosa vorresti dire loro?
Sì, lo sapevo. Vorrei dire agli europei che non è colpa loro se provano una cattiva sensazione nei confronti dei rifugiati. Chi ama il proprio Paese diventerebbe pazzo a vedere tanta gente che arriva. Ma viviamo tutti nello stesso mondo e bisogna darsi una mano. E vorrei anche dire loro che devono essere più felici per la vita che hanno, dovrebbero apprezzarla di più.
Maxima, come sono le tue giornate oggi, in Olanda ?
La mia vita quotidiana qui in Olanda è una delle ragioni che mi hanno spinto a venire in Europa. Ogni mattina mi sveglio piena di fiducia. Da quello che imparo a scuola non resto mai delusa. Quando torno a casa, aiuto la zia (la chiamo così, ma per la verità è una vecchia amica di mia madre) a preparare la cena. Studio un paio d’ore, poi vedo qualcosa on line su Netflix. Ogni tanto cerco di contattare i miei vecchi amici sparsi per il mondo o rimasti in Siria. Prima di dormire, ogni sera, chiamo al telefono con Whatsapp la mia famiglia, sperando che qualcuno risponda.
Oggi, dopo quasi un anno, che riflessione fai sul viaggio che ti ha portata in Europa?
Penso ne sia valsa la pena. Ma sto ancora aspettando che qualcosa accada : quando mio padre, mia madre e i miei fratelli saranno in Olanda e quando vivremo in una casa tutti insieme, di nuovo come una famiglia, non mi resterà più nulla da chiedere e desiderare. Non vedo l’ora di vivere quel giorno….
——————————————————————————————
La storia di Maxima è stata raccolta da Francesca Ghirardelli. Insieme hanno scritto un libro Solo la luna ci ha visti passare. Il mio viaggio a 14 anni dalla Siria alla libertà, edito da Mondadori e uscito in questi giorni. Il libro ci aiuta a capire in profondità il dramma dei migranti che rischiano la vita per fuggire dalla guerra, le loro speranze, il desiderio di libertà di fronte a un’Europa sorda ed egoista. Maxima ce l’ha fatta, molti altri purtroppo no.
Abbiamo chiesto a Francesca Ghirardelli di raccontarci come è nato questo incontro con Maxima.
“Ho incontrato Maxima a Belgrado per caso, camminando tra donne, uomini e bambini accampati nella capitale serba, tappa obbligata della Rotta Balcanica, quando ancora si poteva percorrere. Era il 12 agosto del 2015. Dal nord della Siria fino a lì, ha cominciato a raccontarmi quello che aveva vissuto. La sua determinazione, la fiducia incrollabile di arrivare a destinazione mi hanno fatto pensare che non poteva che avere ragione lei: ce l’avrebbe fatta di sicuro.
Nelle settimane successive sono riuscita a rintracciarla in Olanda e, tre mesi dopo, a raggiungerla per completare il lungo racconto contenuto in questo libro: tappe, luoghi, pensieri, paure, speranze, tutta la stanchezza e tutta la forza per continuare a camminare.
Durante una delle nostre lunghe interviste, Maxima mi ha detto: ‘Bisogna a tutti i costi riuscire a compiere più azioni positive che gesti negativi, così, alla fine, si potrà essere orgogliosi di appartenere al genere umano. E gli uomini potranno dirsi fieri, quando racconteranno alle future generazioni la parte che hanno avuto nel risolvere questo dramma dei migranti’. Allora oggi penso: quando qualcuno ce lo chiederà, cosa diremo che abbiamo fatto?”.