Ci sono voluti due anni, decine e decine di audizioni in parlamento, ma si è arrivati al voto definitivo della legge sul Terzo settore, un mondo fatto da volontari, associazioni, attività no profit, con un valore economico enorme dal punto di vista dell’utilità e dell’assistenza sociale, un motore potente che muove un’ampia rete di servizi sociali: sono circa 44mila le associazioni coinvolte e cinque milioni i volontari che vi prestano servizio. Una rete finora priva di una struttura giuridica e di norme che ne regolassero complessivamente funzioni e diritti.
Nasce un albo del Terzo settore e un codice che ne definisce gli obiettivi. Riordinata inoltre tutta la disciplina fiscale con agevolazioni e norme per le donazioni, e procedure più facili per ottenere beni pubblici inutilizzati, come per esempio terreni o case confiscate.
Per terzo settore si intendono gli enti privati nati con finalità civiche, di solidarietà e di utilità sociale. Non rientrano le associazioni politiche o sindacali e nemmeno le fondazioni bancarie, a volte a metà tra beneficienza e impresa.
Viene sviluppato il servizio civile internazionale, aperto a tutti, anche agli stranieri residenti in Italia da cinque anni. La deputata del Pd Francesca Bonomi ha curato soprattutto questo punto.
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Le opposizioni non hanno votato la legge, perché ci sarebbero delle parti controverse. Oltre alle cooperative sociali, rientrano nella categoria le imprese sociali, cioè imprese profit, che si occuperanno di servizi sociali, per esempio l’assistenza, rispettando però regole precise nella distribuzione del capitale, che deve essere soprattutto a finalità sociale e nella proporzionalità delle retribuzioni. Inoltre viene istituita la Fondazione Italia, una fondazione che raccoglierà capitali per finanziare il Terzo settore. Due punti che non convincono per esempio Giulio Marcon di Sel.
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