Il taglio dei parlamentari era il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle. Il Partito Democratico, invece, era contrario. Poi, in cambio dell’alleanza di governo, il PD ha votato sì. La differenza di prospettiva tra gli autoproclamati vincitori, Di Maio e Zingaretti, è tutta qui.
Sulle riforme, da oggi, Zingaretti e Di Maio si giocano una partita difficilissima. Il PD deve imporne almeno qualcuna delle sue. Il 5 Stelle vorrebbe dire no a tutto. La carta del PD sta nel pessimo risultato del Movimento 5 Stelle alle regionali, che mostra come la sua consistenza reale sia del tutto inferiore rispetto a quella parlamentare.
La carta del Movimento 5 Stelle sta nella consapevolezza che nessuno, oggi, voglia andare a votare.
Zingaretti ha messo in sicurezza la sua leadership nel partito. E con essa, la legislatura. Ma dall’altra parte trova Di Maio che, vincendo il referendum, si riprende la guida del Movimento 5 Stelle e dalla ritrovata posizione di forza farà valere la sua ostilità all’agenda piddina, a cominciare dall’odiato Mes. Per non parlare dei decreti sicurezza o dello jus soli. O del superamento del bicameralismo perfetto, una riforma che molti nel Pd vorrebbero ma che sa di renzismo lontano chilometri.
C’è la legge elettorale proporzionale che per il momento mette tutti d’accordo. Assieme alle modifiche tecniche alla rappresentanza del Senato o alle norme per l’elezione del Presidente della Repubblica, necessarie dopo il taglio dei parlamentari. Un po’ pochino, se le riforme saranno solo queste, per far dire al Pd che in cambio del Sì al taglio ai parlamentari avrà ottenuto qualcosa.
A parte il governo, si intende.