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Tratto dal podcast
Esteri di lun 14/09
Esteri | 2020-09-14
Il Covid, le scuole e la gestione della crisi sanitaria. Nella trasmissione Esteri, andata in onda lunedì 14 settembre, Chawki Senouci ha intervistato Antonino Masuri, cooperante di AVSI, per conoscere la situazione in Kenya.
Com’è la situazione Covid in Kenya?
La situazione è drammatica, abbiamo avuto un’esplosione di casi a partire da metà marzo. La gravità della situazione è dimostrata dallo sciopero di medici e infermieri per chiedere strutture adeguate e dalla chiusura delle scuole, ferme ormai da metà marzo. Come AVSI noi collaboriamo con 800 scuole, di cui 12 dedicate ai più bisognosi, e per noi è stato un problema. Non è facile gestire una quarantena in una baraccopoli dove mancano i servizi e ogni settimana si è costretti a uscire per cercare lavoro. In Kenya la scuola è uno strumento di riscossa perché permette di evitare abusi, lo sfruttamento del lavoro minorile e la microcriminalità. I bambini ne hanno sentito la mancanza perché ricevano cibo, vestiti, cure mediche gratuite. La situazione è molto delicata sia per i bambini sia per i genitori. Hanno perso un anno intero, perché la scuola inizia a gennaio e finisce a novembre
Perché non si è potuto riaprire le scuole?
Pensavamo che le scuole fosse il veicolo maggiore della pandemia e poi venivano usate come luogo dove isolare i positivi. Erano luogo di primo soccorso e di isolamento per sospetti positivi. Il problema è che nelle classi vengono ammucchiati quasi 80 bambini, è stato un segno di grande prudenza chiuderle.
Quali sono state le conseguenze?
C’è stato un aumento di violenze sui minori e di gravidanze sui minorenni. Nelle baracche durante il lockdown non sfuggi al padre o allo zio che ti vuole adescare. Abbiamo cercato via telefono e via volantini di essere sempre presenti, mostrando loro come uscire dall’isolamento con prudenza e come evitare il contagio in certe situazioni.
Cosa avete fatto per aiutare i bambini che hanno perso l’anno scolastico?
Un anno è tanto ed è facile perdere tutto, per questo ci siamo mossi subito. Questa sfida ci ha resi più creativi: abbiamo creato le scuole di villaggio; nei campi profughi abbiamo fatto lezioni via radio; abbiamo assegnato compiti settimanali, ci siamo mantenuti in contatto via sms. Abbiamo anche cercato di aiutare i genitori a insegnare il mestiere e infatti abbiamo prodotto mascherine detergenti. Avendo insegnato loro l’importanza dell’igiene, questo è stato un modo per documentare anche un cammino fatto insieme.