Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica (AAROI-EMAC), smentisce categoricamente chi sostiene che il COVID-19 sia diventato meno aggressivo e sottolinea che le persone colpite dal coronavirus e ricoverate in questo periodo nei reparti di terapia intensiva non sono in condizioni meno gravi rispetto ai pazienti in terapia intensiva durante la fase più acuta dell’epidemia in Italia, tra il marzo e l’aprile scorsi.
Sul piano epidemiologico sottoscrivo al 100% le parole del professor Crisanti, che inserisce lo studio dell’andamento dei casi in relazione a tanti fattori che sono, per esempio, il numero di tamponi eseguiti. Sotto il profilo clinico, invece, ogni singolo caso non è meno grave dei casi che si presentavano a marzo. Semplicemente cambia la frequenza con cui questi casi si verificano in relazione agli accertamenti diagnostici fatti, cioè in relazione al numero dei tamponi in più che viene eseguito. Per quanto riguarda invece l’esito delle cure e i conseguenti ricoveri nei casi più gravi che osserviamo nella nostre terapie intensive, è chiaro che questo esito dipende anche favorevolmente dalle terapie che oggi siamo in grado di fare rispetto a quelle che riuscivano a fare nelle prime fasi.
Pur confermando che il livello di allarme è ben lontano da quei mesi più drammatici, Vergallo ribadisce quello che i rapporti settimanali diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità nelle ultime settimane avevano già anticipato:
Sotto il piano dell’analisi dei dati relativi all’età media dei ricoveri di oggi in rapporto ai ricoveri di ieri, io temo che solo il tempo e l’analisi dei dati una volta acquisiti ci consentiranno di dare delle risposte certe. Di certo va sfatata l’iniziale credenza che fosse un virus limitato ai pazienti anziani. I fatti stanno dimostrando che dal punto di vista dell’aggressione verso gli organismi che questo non è un virus che attacca solo gli anziani.