In Egitto sta diventando virale su Facebook e Twitter una campagna contro l’arresto di un gruppo di cinque giovani comici di strada, al Cairo. I cinque ventenni sono finiti in manette dopo aver diffuso un video che si prendeva gioco del presidente Abdel Fattah Al Sisi. Solo il sesto membro del gruppo è ancora in libertà.
Il video faceva parte di una serie di filmati che i ragazzi giravano in modo estremamente artigianale: niente telecamere, né cameraman, né montaggio, ma un semplice telefono cellulare con cui i giovani si riprendevano in strada, ogni volta una diversa strada del Cairo. Ogni video non durava più di sei minuti.
Il gruppo aveva cominciato nel 2011 a mettere on line i brevi sketch satirici e la sua popolarità era cresciuta fino a raggiungere, di recente, i 300.000 followers su Facebook. L’ultimo video ha avuto un milione di visualizzazioni. Troppo per il regime egiziano, che il 9 maggio li ha arrestati. Il più giovane (19 anni, studente universitario) è stato rilasciato su cauzione, ma gli altri sono ancora in cella.
L’ultimo video del gruppo, quello che probabilmente ha fatto scattare l’arresto, critica la repressione nei confronti dei giornalisti. “La rivoluzione continua”, dichiaravano i sei ragazzi, imitando la voce dei doppiatori dei cartoni animati. E concludevano con un “vattene!”, l’esortazione usata durante la rivolta contro l’ex dittatore Mubarak.
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Il video precedente invece metteva in ridicolo la decisione del regime egiziano di cedere due isole del Mar Rosso all’Arabia Saudita. Si intitola Arabia Saudita: 7,000 anni di Civiltà e racconta la storia dell’Egitto come se si trovasse nella Penisola Arabica. E’ il filmato che ha avuto più successo, con oltre 2 milioni di visualizzazioni.
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Il gruppo si chiama Awlad el-Shawarea, che in arabo significa “Ragazzi di strada”. Adesso la campagna per la loro scarcerazione viaggia online con l’hashtag #Freedom_for_street kids, a cui molti aggiungono la domanda: “Does this cell phone scare you?” (Questo telefono cellulare ti fa paura?)
Spesso nelle foto il telefonino nasconde il viso, ma in molti casi non si tratta di foto anonime: diversi egiziani le pubblicano sul loro profilo Facebook con nome e cognome, fra cui artisti e attivisti come Mohamed Naeem. Il celebre attore Bassem Yousseff ha postato anche una sua vecchia foto insieme ai “Ragazzi di strada”.
Anche l’attore egiziano Amr Waked partecipa alla campagna e ha twittato questa foto ai suoi 3 milioni e 600 mila followers
“E’ un leader debole e insicuro, quello che arresta dei comici perché lo prendono in giro”, ha scritto su Twitter Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch, postando una foto del presidente egiziano El Sisi.
“Ridere non è proibito”, ha scritto l’attivista per i diritti umani Sherif Mansour. “Se hai paura, smetti di renderti ridicolo e la gente smetterà di prenderti in giro”.
“I Ragazzi di strada ci hanno insegnato che non devi essere una tv, una radio o un giornale per fargli paura. Bastano la telecamera di un telefonino e internet per spaventarli”, ha scritto un utente di Facebook. Alla campagna si è unito – grazie a Photoshop – anche l’ex dittatore egiziano Hosni Mubarak.
I cinque ventenni (Khaled Ezz Eddin, Mohamed Dessouky, Mohamed Yehia, Mohamed Adel and Mohamed Gabr) sono accusati di istigazione alla protesta e uso di internet per insultare le istituzioni dello Stato. Sono difesi dal Mahmoud Othman, dell’Associazione egiziana per la libertà di pensiero e di espressione.
Gli amici dei cinque giovani sperano nella loro liberazione, anche se la magistratura ultimamente è sempre più severa contro chiunque dissente. Partecipare a una manifestazione “non autorizzata” (praticamente tutte) può costare fino a 5 anni di carcere in Egitto: è la condanna inflitta nelle scorse ore a 101 persone che avevano contestato la cessione delle 2 isole all’Arabia Saudita. Altri 51 manifestanti erano stati condannati poco prima a due anni di carcere.
Il sito egiziano Mada Masr riporta che uno dei ragazzi, Mohamed Adel, ha scritto su Facebook prima di essere arrestato: “Ho parlato con gli altri del gruppo: anche se non ci pentiamo di essere arrivati a questo punto, abbiamo paura del futuro. L’Egitto fa davvero paura. Non era possibile non spingerci fin qui. La nostra vita cambia davanti ai nostri occhi ma l’Egitto insiste nel non cambiare. Sappiamo che noi sei non contiamo nulla, facciamo parte di un contesto molto più grande. Ma le vite di queste sei nullità avvengono ora, e potrebbero finire”.