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Tratto dal podcast
Prisma di lun 31/08
Coronavirus | 2020-08-31
Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Padova è intervenuto oggi a Radio Popolare per fare il punto della situazione sull’epidemia in Italia, le differenza tra oggi e la fase di emergenza nel marzo scorso e il piano per l’incremento dei tamponi in vista dell’autunno e la riapertura delle scuole.
L’intervista di Lorenza Ghidini e Claudio Jampaglia a Prisma.
Penso che i positivi intorno all’8 marzo probabilmente fossero nell’ordine dei 30mila al giorno, sembra che diverse stime concordino su questi numeri che sono anche supportati dall’analisi dell’ISTAT che dimostra come in Italia ci siano stati un milione e mezzo circa di casi. Sicuramente i numeri di oggi sono tra le 20 e le 30 volte inferiori ai numeri dell’inizio di marzo, e questa è la cosa confortante che spiega anche il basso numero di ricoveri. Sappiamo però che il virus ha una diffusione estremamente elevata che, se non controllata adeguatamente, può tornare a numeri importanti. Oggi abbiamo una diversa consapevolezza e una diversa capacità di azione. La vera sfida è l’identificazione degli asintomatici e credo che questa venga correttamente effettuata adesso: chiunque abbia 2-3 linee di febbre viene sottoposto a tampone e, a catena, tutti gli amici, i parenti e i colleghi di lavoro. Questo incremento dei tamponi è sicuramente l’approccio giusto.
Lei ha fatto diversi esempi su come bisognerà procedere nei prossimi mesi. Testare significa, ad esempio, che se ci sono le elezioni è necessario testare la commissione elettorale prima e dopo il voto. Testare significa testare a scuola, se abbiamo un problema per il ritorno. Il suo piano tratterà anche gli aspetti della contingenza della vita?
A volte determinate cose avvengono per il risultato di conversazioni e valutazioni informali che ho avuto con alcuni membri del governo. Io ho condiviso alcune preoccupazioni e loro mi hanno chiesto “tu cosa faresti?” e io gliel’ho scritto. La mia proposta prevede l’incremento della capacità di fare tamponi proprio per rispondere all’esigenza della riapertura delle scuole e la ripresa delle attività lavorative, e dalla necessità di controllare tutti i flussi di persone che vanno verso l’estero e che dall’estero vengono in Italia. Parliamo di decine di milioni di persone all’anno, non poche migliaia. Poi avevo anche proposto di incentivare l’adesione ad Immuni, proponendo di dare a chi scarica l’app Immuni priorità di accesso al test perchè credo che una delle problematiche di Immuni è che se qualcuno incontra un positivo o se l’app Immuni segnala un possibile contatto positivo quella persona potenzialmente rimane a casa per 14 giorni a meno che non venga effettuato il tampone. Noi non abbiamo adesso la capacità per rispondere anche a questa problematica e quindi ho proposto che una parte della aumentata capacità di fare test sia riservata a chi scarica Immuni.
Cosa è cambiato rispetto a marzo nella disponibilità di fare i tamponi?
Da una parte c’è stata una risposta organizzativa da parte delle varie aziende sanitarie, dall’altra parte c’è stato l’aumento della produzione di reagenti da parte di una serie di industrie produttrici. Questi due fattori, insieme al riconoscimento che hanno un valore importante nella sorveglianza, ha fatto sì che aumentasse la capacità. Questa capacità, però, credo che al momento sia appena sufficiente per le esigenze attuali.
Oltre al problema di organizzazione, esiste anche un problema di costi?
I costi hanno un impatto. È chiaro che se si devono fare 300mila tamponi coi costi attuali di acquisto dei reagenti da parte dei produttori iniziano a diventare dei numeri importanti. Noi per questo abbiamo anche proposto una soluzione che va verso il risparmio dei costi: preparare i reagenti da noi, come abbiamo fatto in Veneto. Per i reagenti esiste un problema di approvvigionamento, produzione e costo che va affrontato se si vuol fare una proposta realistica. Io penso che assicurarsi l’autonomia rispetto ad altri Paesi sia un aspetto importante.
Come si potrebbe migliorare il meccanismo di tracciamento dei contatti nelle scuole?
Noi non sappiamo quando siano contagiosi i ragazzi da 1 a 10 anni. Sappiamo che si ammalano molto meno e, se si ammalano, lo fanno in maniera molto transitoria. Il discorso è diverso per gli adolescenti, abbiamo visto che ci sono numerosi casi di adolescenti che si infettano e possono anche sviluppare un’infezione più seria.
Se a scuola un bambino risulta infetto, io non credo che il test rapido sia la soluzione. Questi test non sono così tanto rapidi: la malattia è una malattia che richiede notifica e questo significa che il test deve essere fatto da un medico o da una persona abilitata che poi fa il referto. Il test dura circa 10 minuti e poi bisogna scrivere il referto e mandarlo al sistema informatico dell’azienda sanitaria di competenza e questo, nella migliore delle ipotesi, dura circa 15 minuti. Un singolo operatore riesce a fare 4 test rapidi all’ora. Capite bene che non si tratta di un test rapido come quello dell’influenza. Il test rapido diventa rapido quando uno se lo fa da solo, ma in questo caso essendo una malattia con l’obbligo della notifica il test non ricade in questa procedura.
(Potete ascoltare l’intervista a partire dal minuto 37)