In questo periodo il partito ungherese Jobbik (Movimento per un’Ungheria migliore) è scosso da problemi interni dovuti alla strategia stabilita dai suoi vertici per le elezioni legislative del 2018. Il presidente del partito Gábor Vona ha rimosso tre vicepresidenti perché considerati “troppo radicali” e li ha sostituiti con tre sindaci eletti nelle liste del partito. Uno di essi è László Toroczkai, 38 anni, dal 2013 sindaco di Ásotthalom, cittadina del sud dell’Ungheria, prossima al confine con la Serbia.
Toroczkai è stato tra i più accesi sostenitori della barriera antimigranti lungo la frontiera col paese confinante e negli ultimi mesi dell’anno scorso è apparso in un video nel quale ammoniva, con fare minaccioso, i migranti illegali a tenersi alla larga dal confine ungherese. Vona ha affermato che la scelta dei nuovi vicepresidenti è motivata dalla loro esperienza di amministratori locali e che il partito ha bisogno di loro per andare al governo. Il messaggio è chiaro, Jobbik intende presentarsi alle politiche del 2018 per prendere il posto del Fidesz alla guida del Paese. Un partito, quello guidato dal premier Viktor Orbán, che a parere di Vona è corrotto e ha deluso le aspettative dei suoi elettori. Secondo Jobbik il partito governativo non ha restituito l’Ungheria agli ungheresi, non ha dato luogo alla svolta politica promessa e finge di essere contro le banche e le multinazionali ma in realtà se la intende con loro illudendo la popolazione di impegnarsi per difendere gli interessi nazionali. Vona afferma che l’unico partito veramente intenzionato a tutelare tali interessi è Jobbik.
Questa forza politica si è fatta conoscere dai suoi esordi come principale interprete del radicalismo ungherese di destra, come soggetto politico ultranazionalista, xenofobo e razzista. Ostile all’Unione europea, alla NATO e a chiunque voglia intromettersi negli affari interni del paese, il partito è stato fondato nel 2003 e soprattutto in questi ultimi anni ha conosciuto una crescita che progressisti e liberali non esitano a definire inquietante. Alle europee del 2009 ha ottenuto tre seggi ed è risultato essere la terza forza politica ungherese, al voto nazionale dell’anno dopo ha aumentato i consensi ed è entrato al parlamento di Budapest con 47 deputati. Alle politiche del 2014 ha superato il 20 per cento dei voti e alle europee ha confermato i suoi tre deputati.
Alla luce di questi risultati Jobbik è diventato il secondo partito del Paese. Diversi sondaggi dimostrano che ultimamente ha visto aumentare la sua popolarità anche nelle città e fra gli studenti universitari; i giovani che credono nel suo impegno lo ritengono l’unico partito veramente in grado di rinnovare la vita politica e culturale del Paese. Ora Vona punta al governo e per questo ha adottato una strategia che mette al bando le dichiarazioni estremiste e le offese nei confronti degli ebrei e dei Rom. Il presidente del partito vuole ampliare il consenso e, forse soprattutto con un’operazione di facciata, proporre Jobbik come partito moderato popolare per avere la meglio sul Fidesz. Alcuni sondaggi fatti lo scorso anno mostrano che di fatto molti ungheresi non percepiscono più Jobbik come partito estremista dando così ragione alle manovre di Vona. Vi è comunque da aggiungere che secondo diversi analisti politici, con la nuova strategia, i vertici del partito rischiano di perdere una parte consistente del suo elettorato, quello che si connota per posizioni razziste e antisemite. Sta di fatto che per Jobbik la campagna elettorale è già iniziata da un po’ in vista delle elezioni del 2018 e la carta che gioca è quella di una strana rispettabilità.
Massimo Congiu è direttore dell’Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, un’agenzia che si propone di monitorare il mondo del lavoro e degli affari sociali in Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.