Hadeel ha 15 anni. La sua pagina Facebook è un concentrato della sua vita. Che non è quella di una adolescente qualunque. E si vede.
In uno dei suoi ultimi post c’è la foto uno scodellino pieno di sabbia con una candela rossa in centro. E’ sabbia di Aqqa, che ora si chiama Acri ed è una delle città che nel 1948 son diventate israeliane. I palestinesi che ci abitavano, da allora sono profughi. Gli anziani conservano ancora le chiavi delle case da cui sono stati cacciati. Molti sono andati in Giordania, altri da lì si sono spostati ancora.
La famiglia di Hadeel è finita in Libia. Hadeel è nata in Libia, ma si sente palestinese e lo racconta su Facebook. “Una nostra amica è venuta a trovarci, ci ha portato la sabbia di Aqqa, la ho annusata e ho pianto: ho sentito il profumo del mio paese”. Un paese in cui lei non ha mai vissuto.
Hadeel è nata profuga e profuga rimane. Ora – da un anno e mezzo – abita a Monaco, in Germania, in un campo di prima accoglienza. Su Facebook ha messo la foto della prima neve che ha visto, di un picnic nel parco con la sua famiglia, del suo fratellino che gioca a calcio. Schegge di una vita quasi normale, inframmezzate da immagini di ragazzini palestinesi uccisi, di case distrutte, di kefieh insanguinate.
Ma c’è un pezzo di vita di Hadeel che non è su Facebook, un mezzo che fissa il qui ed ora. Il mese di luglio del 2014: Hadeel non poteva pubblicare quando è scappata dalla Libia, quando ha preso il gommone, quando è stata soccorsa da una nave di Mare Nostrum, quando è sbarcata a Catania. Ma è una ragazzina sveglia ed è riuscita a documentare tutto, con una piccola macchina fotografica digitale: i fratelli e la mamma sulla barca stracarica, schiacciati tra ragazzoni africani; il piatto di pasta al sugo che le porge un marinaio italiano; gli abbracci alle volontarie di Villa San Giovanni che la hanno rifocillata e rivestita.
Alla stazione di Villa San Giovanni Hadeel aspetta il treno notturno per Milano: con lei la mamma, il papà, due fratellini e un’altra trentina di profughi scappati dalla Siria, i bimbi piccoli con le facce bruciate dal sole della traversata del Mediterraneo. Hadeel è spigliata, allegra, chiacchierona. E parla inglese. Buona parte del viaggio la passa a raccontare cosa ha lasciato – una Libia che odia – e cosa spera di poter fare. Le piacerebbe ricominciare taekwondo, il suo sport preferito. E poi tornare a scuola e imparare in fretta il tedesco, se riuscirà ad arrivare in Germania. Il racconto ogni tanto si interrompe: Hadeel spalanca gli occhi e guarda sbalordita fuori dal finestrino del treno: “Quanti alberi! E quanti fiumi! In Libia non c’erano. Non li avevo mai visti. C’erano – dice passando da Firenze – sabbia e città brutte”.
E’ passato un anno e mezzo da quel viaggio lunghissimo. Hadeel è riuscita ad arrivare in Germania. Vive in un campo profughi a Monaco di Baviera. Non le piace, ma è felice, va a scuola e inizia a scrivere post in tedesco su Facebook. Chissà se ha anche ricominciato taekwondo…
Silvia Giacomini ha incontrato Haadel e un gruppo di profughi siriani in Sicilia. Erano diretti in Germania; con loro ha viaggiato sino a Milano. Questo il suo racconto.