Nel Parco Agricolo Sud di Milano, il più grande d’Europa, c’è un’area di 200mila metri quadrati di serre e campi di fragole, lamponi e mirtilli – sequestrati lo scorso 12 agosto dalla magistratura – dove lavoravano circa un centinaio di braccianti africani, sfruttati, con paghe da 4 euro e mezzo all’ora, turni di 10 ore, buste paga irregolari, vessati, senza dispositivi per il COVID e senza bagni. L’azienda è la StraBerry, premiata come eccellenza “green” nel 2013 e 2014, nota per gli appellar con cui vendeva a Milano i suoi prodotti a chilometro quasi zero.
Le prime segnalazioni su quello che non andava alla StraBerry erano arrivate ai sindacati proprio dai venditori di strada che lavoravano 11 ore al giorno, gestiti, controllati e licenziati via WhatsApp. Ora la magistratura ha sequestrato campi, cascina, capannoni e altri 23 immobili, e indagato sette persone per intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera. Ma l’azienda non ha perso un giorno con una nuova amministrazione giudiziaria che ora teme l’annullamento già annunciato dei contratti da parte dei big della grande distribuzione. Anche se ora si lavora nei campi sei ore secondo contratto, con le pause e le mascherine.
I lavoratori, una trentina oggi, non hanno voglia di parlare di quello che chiamano “il grande casino che c’era prima”, quando l’azienda StraBerry era un modello, mentre sotto i tendoni bianchi delle serre aperte, a fianco della Cassanese, a 15 chilometri in linea d’aria da Piazza Duomo, si lavorava come schiavi. E hanno paura che ora che il lavoro è quello che dovrebbe essere, l’azienda chiuda.