L’avevamo scritto qualche giorno fa: non c’è un bel clima attorno al referendum istituzionale. A sei mesi dalla consultazione, i toni sono già pieni di veleno. La prima puntata ha coinvolto la magistratura. Dopo lo scoppio del Caso Morosini (la conversazione pubblicata su Il Foglio), i magistrati sono stati cordialmente “invitati” a non prendere posizione.
Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnigni ha motivato così la sua esortazione: è ormai diventato un appuntamento “politico”, quindi è meglio che le toghe si astengano da giudizi sulla riforma costituzionale.
Chi l’ha trasformato in questo modo, è bene ricordarlo, è stato Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio ha legato il suo futuro in politica alla vittoria dei Sì. Per questo ha lanciato la mobilitazione del suo partito, ma soprattutto ha dato il via alla radicalizzazione della campagna referendaria.
I toni usati contro i sostenitori del No sono duri. E lo sono in particolar modo con chi fa parte del fronte progressista. In questo caso, si sfiora (e talvolta, si punta) alla deligittimazione.
È il caso delle parole usate da Maria Elena Boschi: “Chi vota No vota come Casa Pound”, ha detto la ministra. Nessuna equiparazione, solo una constatazione, ha voluto precisare. In realtà, la sostanza politica non cambia.
Boschi ha usato la retorica come una clava con un chiaro obiettivo: presentare come estremisti (antidemocratici e conservatori) tutti coloro che sono contrari alla riforma. Si tratta di un’evidente manipolazione.
Fa specie sentirla mettere sullo stesso piano Casa Pound e l’Anpi, i neofascisti e i presidenti emeriti della Corte costituzionale, i nipotini di Mussolini e le decine di giuristi e intellettuali che si sono schierati per il No. In politica, si possono mischiare le carte, ma farlo come lo ha fatto Maria Elena Boschi sembra essere più il frutto di una stizzosa reazione alle critiche che un modo efficace di difendere le sue ragioni.
Spiace dirlo, ma quelle di Boschi appaiono le parole della rappresentante di una classe dirigente politica già autoreferenziale, insofferente alle critiche, incline a non ascoltare le ragioni dell’altro; una classe dirigente che ha fatto del rinnovamento il proprio passe-partout per entrare nella stanza dei bottoni, ma che ora è incapace, o non ha alcuna voglia, di guardare oltre a quell’orizzonte.
Non c’è rispetto nelle parole di Boschi. Non c’è alcun rispetto per le storie, le biografie, le idee, i filoni del pensiero politico democratico che sono dietro le decine di personaggi pubblici e semplici cittadini, dietro ai probabili milioni di persone che in nome di un equilibrato balance of powers delle istituzioni repubblicane voteranno No al prossimo referendum.
L’Italia ha bisogno di statisti che la guidino oltre il guado, non di politici che la buttano in rissa, alimentando lo scontro politico e le divisioni.