Con la firma di Re Felipe VI sul decreto di scioglimento delle Camere, scende il sipario sulla legislatura più corta della Spagna.
A conferma dell’instabilità politica, arriva un sondaggio del Cis (Centro indagini sociologiche) di Madrid, secondo cui per il 58 per cento degli spagnoli la situazione è preoccupante.
Re Felipe VI ha chiesto di tagliare gli sprechi della campagna elettorale in vista del voto del 26 giugno. Costerà 160 milioni di euro e non avrà alcuna novità di rilievo: anche le liste elettorali saranno pressoché una fotocopia di quelle dello scorso 20 dicembre.
Dopo quattro mesi di veti incrociati, le forze politiche si sono dimostrate incapaci di mettersi d’accordo. Nemmeno l’irruzione degli indignados di Podemos è riuscita a cambiare gli equilibri nel parlamento di Madrid.
Il 26 giugno gli spagnoli torneranno alle urne con la prospettiva di ritrovarsi nella stessa situazione di adesso: con un parlamento bloccato, nonostante una probabile vittoria dell’ex premier conservatore Mariano Rajoy, ma senza una maggioranza sufficiente per governare. E con Podemos che potrebbe superare il Partito socialista alleandosi con gli ex comunisti di Izquierda Unida.
Gli spagnoli chiedono ora chiarezza sulle possibili coalizioni post elettorali. Di tempo se ne è già perso molto. Difficilmente il leader socialista Pedro Sánchez potrà tornare a proporre la sua candidatura a premier dopo il tentativo fallito del marzo scorso, quando per ben due volte il suo nome venne bocciato dal parlamento di Madrid.
Intanto da Bruxelles è arrivato il monito sui conti: l’instabilità politica pesa sul deficit, che non scenderà sotto il 3 per cento prima del 2018. E l’Unione europea potrebbe a aprire una procedura d’infrazione contro la Spagna per non aver rispettato il patto di stabilità.