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Tratto dal podcast
Prisma di gio 06/08
Mondo | 2020-08-06
Samuel Bregolin, giornalista e fotografo indipendente, collaboratore della testata online Osservatorio Diritti, fa a Radio Popolare una panoramica della situazione di oggi in Colombia, tra il processo di pace ormai in stallo, nuovi gruppi armati che hanno conquistato il controllo di almeno 11 delle 32 Regioni che compongono la Colombia e le indagini sulla morte di Mario Paciolla, l’operatore ONU trovato morto nella sua casa di San Vicente del Caguán il 15 luglio scorso.
L’intervista di Sara Milanese a Prisma.
Da dove arriva questo blocco del processo di pace?
Il clima entusiasta di pochi anni fa sembra ormai appartenere ad un passato molto più lontano. La pace non è solo una firma apposta su un pezzo di carta a L’Avana nel 2016, ma è anche e soprattutto un lungo e difficile percorso di cambiamento che coinvolge la politica, l’economia e tutta la società civile colombiana. Nel trattato firmato – sono oltre 500 pagine – le oggi estinte Farc si impegnavano a deporre le armi e a partecipare in forma pacifica e democratica nel gioco politico del Paese.
Dall’altra parte, però, lo Stato colombiano si impegnava a portare investimenti in territori che non hanno ancora nessuna reale alternativa. I trattati, quindi, puntavano a eliminare la causa primordiale del conflitto interno colombiano, che è la povertà nella quale vive la maggior parte dei cittadini del Paese, portando investimenti per lo sviluppo economico delle molte aree rurali del Paese. Il governo di Iván Duque Márquez, però, non ha mai riconosciuto la pace firmata nel 2016 dal suo predecessore Juan Manuel Santos. Anzi, il suo partito politico appoggia la linea dura dell’ex presidente Álvaro Uribe Vélez, che considera gli ex guerriglieri come dei terroristi.
Duque è di fatto il delfino di Uribe, che proprio in questi giorni è tornato al centro delle vicende di cronaca per accuse di corruzione.
Sì esatto. Sono tutti dei giochi politici che riguardano quella che ormai è già denominata come la para-politica dei primi 10 anni dei due mandati di Álvaro Uribe. L’implementazione degli accordi è stata di fatto abbandonata e una delle conseguenze dirette di questa mancata implementazione degli accordi è l’aumento sistematico delle violenze e delle pressioni nei territori e la persecuzione contro i leader sociali. Sono già più di 700 i difensori dei diritti umani, tra i quali 214 ex guerriglieri FARC, ed essere stati uccisi dal 2016 ad oggi. Si è creato un vuoto di potere in molte delle regioni rurali che prima erano sotto il controllo delle estinte FARC e questo vuoto è stato occupato da vari gruppi armati illegali, gruppi paramilitari spesso di estrema destra e al soldo del narcotraffico o dell’estrazione mineraria illegale o delle multinazionali. E poi ci sono alcune infiltrazioni, non ancora chiare, da parte di cartelli del narcotraffico messicano.
Al contrario di quanto succedeva prima, quando il conflitto armato interno aveva comunque i suoi equilibri e le sue regole, questi nuovi gruppi agiscono spesso localmente, senza un comando nazionale e non rispettano più quelle che erano le regole del gioco di un tempo. In questa situazione caotica è spesso difficile capire chi controlla realmente una determinata zona, la popolazione locale non parla per paura delle ripercussioni e anche entrare in un territorio accompagnati dalle guardie indigene, che sono sempre state rispettate, non è più un sinonimo di sicurezza certa.
In che modo si sente oggi questo conflitto nella società civile o nelle grandi città della Colombia?
C’è una netta differenza fra città e campagna, fra Bogotà, Medellín, i grandi centri urbani e le aree rurali. Il conflitto non è mai arrivato a Bogotà, anche prima degli accordi di pace. Molte zone rurali del Paese, invece, sono lontane dalle città e vivono delle situazioni completamente diverse e lo conferma l’ultimo comunicato stampa di Human Rights Watch in queste settimane di coronavirus: delle 32 regioni che formano la Colombia, in 11 di queste le misure di sicurezza per il coronavirus sono gestite direttamente da questi gruppi armati illegali. Il coprifuoco notturno è imposto con soldati armati che controllano le strade e chi esce per strada dopo le 4 del pomeriggio rischia l’esecuzione a sangue freddo. Ci sono dei posti di blocco all’entrata e all’uscita dei Paesi e chi si sposta da un villaggio all’altro senza l’autorizzazione rischia di vedere la propria moto o la propria macchina bruciata. I gruppi armati illegali hanno approfittato della crisi del coronavirus per imporsi non solo come degli attori violenti, ma anche come gli unici realmente capaci di mantenere l’ordine durante l’emergenza sanitaria.
Va ricordato che parliamo di regioni in cui lo Stato colombiano ha una presenza effimera. Non esistono strutture ospedaliere correttamente attrezzate e in alcuni casi la popolazione non ha neppure accesso continuo all’acqua potabile.
Che ruolo ha oggi la missione ONU in Colombia?
La missione di verificazione dell’ONU in Colombia è uno degli osservatori principali dello sviluppo degli accordi di pace. Vigila sugli impegni presi dallo Stato colombiano nel garantire la reintegrazione degli ex guerriglieri che hanno deposto le armi. Sono state create 24 zone considerate sicure – i famosi ETCR, gli Espacios Territoriales de Capacitación y Reincorporación – in cui gli ex guerriglieri possono vivere con i propri figli e le proprie famiglie e nelle quali si sviluppano dei programmi di reintegrazione per il ritorno alla vita civile. Mario Paciolla lavorava nell’ETCR di San Vicente del Caguán e, come volontario della missione dell’ONU, il suo lavoro era quello di rimanere a stretto contatto con gli ex guerriglieri, aiutarli nelle pratiche quotidiane per la reintegrazione e sorvegliare che le varie istituzioni internazionali o dello Stato colombiano rispettino i programmi e gli impegni presi.
Sull’omicidio di Mario Paciolla si è aperta un’inchiesta anche in Colombia. Gli aspetti ancora da chiarire sono molti.
Sì, in un primo momento la polizia colombiana ha parlato di suicidio e come tale è stato trattato sia dalle istituzioni che dalla stampa colombiana. Il polverone è cominciato quando si è aperta l’ipotesi di omicidio. In questo momento ci sono quattro agenti della polizia colombiana indagati dall’organo indipendente del potere giudiziario colombiano per non aver rispettato il protocollo. Effettivamente sembra che abbiano lasciato entrare del personale delle Nazioni Unite quando in realtà non dovevano farlo o non ne avevano il diritto. La situazione è sicuramente molto delicata, soprattutto per la missione ONU in Colombia: visto l’andazzo non proprio positivo degli accordi di pace la situazione di lavoro per i volontari ONU non è delle migliori. L’attuale silenzio stampa delle Nazioni Unite probabilmente per il momento è giustificato perché ci sono ancora delle indagini in corso e loro potrebbero avere delle informazioni importanti da rivelare alla giustizia colombiana. L’ONU rischia però di vedere screditata una parte del suo prestigio sia in Colombia che all’estero e vista la difficile situazione dell’implementazione degli accordi di pace e il ritorno delle violenze in Colombia, sicuramente questa non è una buona notizia per nessuno.
(Potete ascoltare l’intervista a partire da 1:24:00)