Nell’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (Dna), a pagina 29, è scritto: “Tra le condizioni di contesto che hanno consentito il radicamento della ‘ndrangheta in questa regione (Lombardia, ndr), vi è la disponibilità del mondo imprenditoriale, politico e delle professioni…ad entrare in rapporti di reciproca convenienza con l’organizzazione”.
Proviamo a girare la frase, senza cambiarne il senso: la disponibilità del mondo imprenditoriale, politico e delle professioni a fare affari con la ‘ndrangheta in Lombardia è tra le condizioni che permettono alle cosche di radicarsi nella regione.
Nella relazione si scrive “il mondo imprenditoriale, politico” e non – ad esempio – “settori del mondo imprenditoriale, politico”. Eppure, la generalizzazione della Dna non sembra aver colpito nessuno quando è stata presentata due mesi fa. Mentre, invece, ha colpito tantissimo la presunta generalizzazione di Piercamillo Davigo (presidente Anm), la settimana scorsa nella sua intervista al Corriere della Sera: «Non hanno smesso di rubare – dice Davigo – hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto».
Molte le reazioni insofferenti verso le parole di Davigo: da Renzi (“voglio nomi e cognomi dei colpevoli”) al vicepresidente del Csm Legnini (“rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno”) al presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Cantone (“dire che tutto è corruzione significa che niente è corruzione”).
Tutto ciò nonostante Davigo abbia sempre detto, e ribadito in quella stessa giornata: «non ho mai pensato che tutti i politici rubino, anche perché ho più volte precisato che se così fosse non avrebbe senso fare processi che servono proprio a distinguere».
E allora, qual è il problema? Perché colpisce Davigo sui politici e non la Dna che denuncia un intero “mondo imprenditoriale, politico e delle professioni” di essere disponibile in Lombardia a fare affari con la ‘ndrangheta? Abbiamo provato oggi a Memos ad affrontare la questione con un magistrato come Piergiorgio Morosini, membro del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), già giudice a Palermo.
I tempi della giustizia appaiono un punto determinante della questione: dal sistema mafio-corruzione (la definizione è del Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato), al malaffare politico-amministrativo. Sono i tempi dei processi, troppo lunghi, e quelli della prescrizione, troppo brevi (“un assurdità che fa impazzire”, ha detto Franco Roberti procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo). Il ministro della giustizia Orlando ieri ha promesso che “per l’estate ci sarà la nuova legge sulla prescrizione”. Risposta di Morosini a Memos: «Queste promesse – dice l’esponente del Csm – le ascoltiamo da tanti anni e poi non si traducono in interventi legislativi».
Ascolta la puntata di Memos
Per chi volesse ascoltare (o riascoltare) la lezione di Davigo su mafia, politica e corruzione per il nostro ciclo di “Lezioni di antimafia”, qui trovate tutti i riferimenti. Davigo è stato ospite nell’Auditorium di Radio Popolare il 22 marzo scorso.