Poteva essere, e molti lo auspicavano alla vigilia, l’occasione per dare un forte segnale di rottura col passato e ripensare in maniera profonda le politiche mondiali sulle droghe. Questo almeno era nelle intenzioni di Messico, Colombia e Guatemala che erano pure riusciti ad anticipare il convegno, previsto inizialmente nel 2019. Invece il Convegno mondiale sulle droghe organizzato dalle Nazioni Unite, che si chiude oggi, ha dato un debole segnale rispetto a un approccio meno proibizionista. A partire dall’approvazione della risoluzione finale, fatta prima ancora di cominciare il dibattito generale. “L’approvazione del documento ha di fatto blindato la risoluzione finale e ci sono solo delle piccole aperture”, dice Grazia Zuffa, storica animatrice e fondatrice della rivista Fuoriluogo e poi dell’associazione Forum Droghe.
Ascolta qui l’intervista integrale a Grazia Zuffa
“Qualche passo avanti è stato fatto, ma il lavoro da fare è ancora lungo”, dice Matteo Ferrari, delegato alla politica sulle droghe del Canton Ticino, che ci ha anche raccontato l’esperienza svizzera, molto avanzata.
Ascolta qui l’intervista integrale a Matteo Ferrari
A volere questa conferenza straordinaria, anticipata rispetto al 2019, sono stati tre stati del Sudamerica, una delle regioni più colpite dal narcotraffico. “Per noi, la cosa più importante è che si riconosca che c’è bisogno di approcci alternativi, di guardare quello che è successo nelle altre regioni, perché questa violenza e l’aumento della criminalità non riguardano soltanto l’America latina ma si vede anche nell’Africa occidentale e in Asia. Quindi, bisogna riconoscere l’esistenza di diversi approcci e riconoscere che la violenza è stata alimentata dalle politiche attuali, non è nata dal nulla, ma è strettamente connessa alla questione delle droghe”, ci ha detto Lisa Sanchez Responsabile del programma per l’America Latina della fondazione Transform.
Ascolta qui l’intervista integrale a Lisa Sanchez