La storia della lotta per i diritti umani è costellata di persone che hanno lottato ogni giorno perché le ingiustizie avessero fine: nella politica, nelle università, nel mondo dello spettacolo e anche nel mondo dello sport. È a questo emisfero che appartiene la storia di Althea Gibson, la prima giocatrice nera di tennis della storia a partecipare, e per la cronaca anche a vincere, Wimbledon.
Althea Gibson nasce in Nord Carolina nel 1927, ma quando ha tre anni si trasferisce con la famiglia a New York, formando mente e corpo nel variegato e non sempre semplicissimo quartiere di Harlem. È proprio in queste strade che Althea Gibson inizia a familiarizzare con la prima racchetta, ricevuta in regalo da un vicino di casa. Il fisico, asciutto e snello ma non per questo esile, la rendono molto portata per questo sport, e non appena ne ha l’occasione inizia a partecipare ai tornei per gli afroamericani, dato che non gli era permesso giocare con i bianchi.
Althea Gibson domina tutte le sue rivali, diventando per i successivi 10 anni la miglior giocatrice di colore degli Stati Uniti. Althea decide quindi che è il momento di fare un salto in avanti, e inizia a fare domanda di iscrizione ai vari circoli tennistici del paese. In un contesto storico in cui la vita quotidiana degli americani è ancora cadenzata da una forte e brutale segregazione, che per esempio impediva ai neri di salire sugli autobus o di entrare nei negozi dei bianchi, il mondo del tennis, considerato da tutti uno sport rigorosamente per donne e uomini ricchi e bianchi, vede la sua ambizione come un affronto.
Ad aiutarle nella sua lotta, che poi è quella di tutti gli afro americani, arriva Alice Marble, tennista, bianca. La Marble scrive un lungo articolo nel quale si dice pronta a giocare contro la Gibson, spiegando che “se rappresenta una sfida per le donne che praticano questo sport, è bene rispondere sul campo. Diciamo sempre che il tennis è uno sport per gentiluomini e gentildonne, è il tempo di comportarci un po’ più come persone gentili e meno come ipocriti bigotti”.
Le parole della Marble fanno centro, e Althea Gibson inizia a partecipare ai tornei del circuito internazionale, nonostante le discriminazioni restino: il pubblico la fischia, gli alberghi non vogliono ospitarla, deve entrare in campo dalla porta di servizio e non può condividere con le altre atlete gli spogliatoi.
Althea Gibson però ha una missione ed è più forte di ogni pregiudizio: nel ’57 e nel ’58 vince sia gli US Open che Wimbledon, diventando la numero uno del ranking mondiale. A 31 anni passa al golf, altro sport considerato elitario per bianchi. Muore a 76 anni, nel 2003, giusto in tempo per vedere le sue ideali eredi, le sorelle Venus e Serena Williams, ricalcare le sue orme a quasi 50 anni di distanza.