Delle 81 vittime della strage di Ustica, 42 sono ancora in fondo al mare da alllora, perché solo 39 corpi furono recuperati. Tutte e 81 le famiglie però, chi può piangere il suo morto al cimitero e chi no, aspettano la verità. 40 anni di depistaggi, accordi indicibili, segreti di Stato, sudditanza verso le grandi potenze, il tutto ben riassunto nell’espressione “muro di gomma“, come il titolo del film, quello contro cui le famiglie si sono sempre scontrate.
Nel 2007 la Cassazione ha messo la parola fine alle inchieste penali. La principale, quella accurata e faticosa del giudice Rosario Priore, che non ha retto ai processi ed è finita in una archiviazione nel 1999. La sentenza ordinanza del magistrato però resta il quadro più vicino a ciò che probabilmente è successo. E poi l’inchiesta sui depistaggi, che ha visto assolvere i generali dell’aeronautica. Per la Cassazione quella sera del 27 giugno 1980 non c’è stata nessuna battaglia aerea, e tantomeno nessun missile.
Ma come è accaduto per altri misteri senza colpevoli, sono stati i processi civili, per i risarcimenti alle famiglie, ad accendere una luce di verità. Basandosi sulla sentenza ordinanza di Priore e non sulla Cassazione penale, i Tribunali civili di Roma e Palermo hanno accolto la tesi del missile sparato contro il DC9 Itavia da un caccia straniero, e hanno condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti per non aver garantito la sicurezza di quel volo. Il tutto passato in giudicato con sentenza della Cassazione nel 2013.
Alla fine, 40 anni dopo, la verità gli italiani la sanno comunque. Quella sera sui cieli del Tirreno ci fu una vera e propria battaglia aerea, con caccia americani, francesi, libici e in mezzo un volo civile italiano che fu colpito e affondato.
C’è però ancora qualcosa che il Governo italiano potrebbe fare, se lo volesse: chiedere con forza a Washington e Parigi cosa ci facevano quella sera i loro caccia nei nostri cieli, e desecretare i documenti degli accordi internazionali stretti in quegli anni dai nostri servizi segreti.
Foto di I, Ghedolo, CC BY-SA 3.0