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Tratto dal podcast
Prisma di gio 25/06
Mondo | 2020-06-25
Ogni anno dobbiamo tornare ad occuparci del caldo e dobbiamo confrontarci coi cambiamenti climatici. E di questi giorni la conferma dell’ennesima ondata di caldo record al Circolo Polare Artico, con oltre 17 gradi sopra la media. Ne abbiamo parlato con Francisco Ardini, ricercatore di chimica analitica presso l’Università di Genova.
L’intervista di Lorenza Ghidini e Claudio Jampaglia a Prisma.
Che cosa sta succedendo?
Diciamo subito che un record singolo, da solo, non è un campanello d’allarme. Se rimanesse isolato potrebbe non essere un problema perché ci sono delle fluttuazioni ogni anno. Il problema è quando questi fenomeni diventano molto frequenti e molto intensi. Il grande problema dei cambiamenti climatici è proprio il fatto che questi fenomeni siano sempre più frequenti, come le temperature record di 38 gradi in Siberia. C’era già stata una temperatura di 37 gradi circa 30 anni fa, ma era rimasto un caso isolato. Ora invece negli ultimi anni le temperature si stanno effettivamente alzando. Negli ultimi 15-20 anni ci sono stati gli anni più caldi da quando si registrano le temperature sul pianeta, dalla fine dell’800. Questo è sicuramente preoccupate perché va a toccare tutto l’ecosistema. Quando qualcosa viene perturbato, non rimane perturbato da solo, ma va a intaccare tutto. Iniziano a sciogliersi e va a perturbare l’ambiente lì vicino: gli organismi, l’atmosfera e gli oceani che iniziano ad essere interessati come in un effetto domino fra di loro.
Quello che succede al circolo polare artico riguarda anche noi, giusto?
Assolutamente sì. Tutto ciò che succede sul pianeta è strettamente interconnesso, quindi non possiamo assolutamente chiamarci fuori sia per quanto riguarda le responsabilità sia per quanto riguarda le conseguenze di questi cambiamenti climatici in qualunque parte del Mondo essi possono succedere. Anzi, Artide e Antartide, che sono i nostri poli, sono le zone più fragili, ma sono anche fondamentali per la regolazione del clima del nostro pianeta. Quello che succede in quelle zone avviene in maniera più veloce di quello che succede alle nostre latitudini, ma poi ha un’influenza molto forte anche da noi. È molto importante monitorare la situazione nelle zone polari e cercare di risolvere e attenuare questi effetti il più possibile perché altrimenti avremmo dei problemi molto impattanti nel nostro pianeta.
Ci spiega questa faccenda della neve rosa sul ghiacciaio del Presena.
Noi siamo abituati a vedere le alghe nei mari e nei fiumi, ma esistono alcune specie di alghe che vivono nella neve e nei ghiacci più o meno in tutto il Mondo, in particolare nelle zone polari. Queste alghe hanno una loro vita in particolare durante i periodi di scioglimento dei ghiacci, perchè durante l’inverno diciamo che rimangono addormentate e quando cominciano a sciogliersi i ghiacci prosperano nella neve che si sta sciogliendo. Finché la situazione è normale dal punto di vista delle temperature e del riscaldamento non ci sono grossi problemi. Il problema è che quando le temperature sono alte e si scioglie più ghiaccio, queste alghe prosperano di più e se prima questo colorito rosaceo era limitato, diventa molto più forte per effetto delle temperature che si alzano. È un problema perché se la neve o il ghiaccio rimangono più bianchi tendono a riflettere di più la luce del sole e quindi a sciogliersi di meno, mentre più sono scuri e più assorbono la luce del sole e quindi si sciolgono di più in un circolo sempre più deleterio. I ghiacci rosa visti in Europa sono un problema proprio perché è la prima volta che vengono visti in queste quantità. Mentre in Groenlandia è un effetto già noto, nei ghiacci alpini in questa quantità è la prima volta e anche questo è un segnale di allarme.