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Thyssenkrupp, semilibertà ai manager tedeschi. Intervista ad Antonio Boccuzzi

ThyssenKrupp

La procura tedesca di Essen ha autorizzato un regime di semilibertà per i due manager di ThyssenKrupp che sono stati condannati per la strage del 2007, Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz. Ne abbiamo parlato con l’ex deputato del Partito Democratico Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto al rogo.

L’intervista di Sara Milanese a Fino Alle Otto.

In questo momento la necessità che abbiamo è che qualcuno ci dia una spiegazione. La scorsa settimana siamo stati rassicurati dal procuratore Saluzzo sul fatto che non esistesse la possibilità che quella richiesta venisse accolta. Lo spiegava in termini di legge, citando le ragioni per cui questa richiesta era possibile e quelle per cui non era possibile. E invece la richiesta dei due condannati tedeschi è stata accolta senza battere ciglio. Ricordo che i quattro condannati italiani, condannati a pene più lievi per aver commesso un reato più lieve, hanno scontato un carcere vero, senza la possibilità di uscire. C’è anche una forma di disuguaglianza tra persone che hanno partecipato ad un processo analogo e sono stati condannati con la stessa sentenza quattro anni fa. Sono passati quattro anni e i due tedeschi non hanno fatto un minuto di carcere.

A nove anni dalla strage c’è stata una sentenza che ha condannato definitivamente entrambi i manager tedeschi della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz. La pena è stata ridotta fino ad un massimo di 5 anni, la loro richiesta di scontare la pena in Germania è stata accolta e a distanza di quattro anni da quella sentenza i due tedeschi non hanno trascorso neanche un giorno in carcere.

Sì, sono passati quattro anni. Ricordo che nel primo grado l’amministratore delegato è stato condannato a 16 anni per omicidio volontario, poi ridotti a 10 in una sentenza definitiva che normalmente prevede subito il carcere. In Germania questo reato viene punito al massimo con 5 anni di reclusione, quindi un ulteriore sconto del 50% rispetto alla pena definitiva. Io penso che la semi-libertà dovrebbe essere concessa a chi è stata negata la libertà. E infatti in Italia viene concessa nel momento in cui hai iniziato un percorso riabilitativo in carcere. C’è da preoccuparsi anche rispetto ad una fiducia che noi abbiamo avuto in questi 12 anni nei confronti della giustizia, prima italiana e dopo tedesca. Mi chiedo se questa fiducia è stata mal riposta perchè ad oggi ci sentiamo traditi da quello che era un aspetto che pensavamo non potesse presentarsi in questo processo. È stato un processo decisamente particolare, perché per la prima volta era stata emessa una sentenza nei confronti di un reato legato ad infortuni sul lavoro. Che questa sentenza venga snobbata da un Paese dietro l’angolo rispetto al nostro è grave.

Tornerete dal procuratore generale di Torino a chiedere una spiegazione su quello che è successo?

Noi tra poche ore saremo davanti alla Procura di Torino per cercare di comprendere la ragione per cui Saluzzo ci ha dato una certa informazione che poi è stata stravolta. Saluzzo la scorsa settimana ci ha detto che sarebbe stato impossibile procedere alla semilibertà perché non esistevano i termini. Invece la lettura che è stata data in Germania è che la semilibertà non viene concessa solamente in caso di reati particolarmente gravi o a sfondo sessuale. Cagionare la morte di 7 persone non è un reato particolarmente grave? A questo punto la domanda che mi pongo è davvero questa: cosa bisogna fare perché la semilibertà non venga concessa?
Noi siamo davanti a due persone condannate per omicidio. Il reato è stato confermato e in Italia sono state erogate pene decisamente importanti, mentre in Germania si concede questo sconto.

Foto dalla pagina Facebook di ThyssenKrupp

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    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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