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Tratto dal podcast
Prisma di gio 18/06 (terza parte)
Italia | 2020-06-18

Oggi è il giorno in cui il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarà ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Ne abbiamo parlato con Luigi Manconi, ex senatore del Partito Democratico e fondatore dell’associazione “A Buon Diritto”, fin da subito al fianco della famiglia Regeni nella ricerca di giustizia e verità.
L’intervista di Lorenza Ghidini e Claudio Jampaglia a Prisma.
Quanto è importante l’audizione di oggi del Presidente Conte?
Mi auguro che non sia semplicemente un passaggio formale e rituale, ma un’occasione importante per dare alla vicenda dell’uccisione di Giulio Regeni il suo senso autentico. La vicenda non è semplicemente un caso di violazione di diritti umani, ma è qualcosa di molto più significativo per il nostro Paese. Viene messa in gioco la nostra sovranità nazionale. Questo è il punto essenziale: se un connazionale viene ucciso all’interno di un Paese considerato amico, o l’Italia è in grado di pretendere verità e giustizia oppure viene messa in discussione la sua capacità di essere uno Stato autonomo e indipendente. Vengono offesi non solo l’opinione pubblica e il senso di umanità, ma anche la dignità dell’Italia. Questo è stato tempo ignorato dalla gran parte della classe politica. Se con l’audizione del Presidente Conte si mette al centro questo problema, cioè un problema di diritto e di politica internazionale, allora si sarà fatto un piccolo passo avanti.
Quali sono i fatti che secondo lei possono essere importanti?
Anche le parole arrivano con quattro anni di ritardo. Questo è il punto. Prendiamo la questione che in questo momento è la più importante, la vendita delle armi all’Egitto. Facciamo finta che io sia favorevole a questa vendita: ma si può procedere in questo modo? Prima tutta la trattativa commerciale, arrivata praticamente alla firma finale, e solo dopo la questione della cooperazione giudiziaria tra l’Italia e l’Egitto. È il modo più dissennato, disarmato e inerme di condurre una relazione tra due Paesi. La questione di Giulio Regeni e dei diritti umani in Egitto doveva essere affrontata contemporaneamente allo scambio commerciale. Solo così l’Italia poteva esercitare fino in fondo la sua capacità di negoziare e di influire, condizionare e premere sul regime di Al Sisi. Solo adesso, dopo che la compravendita è già praticamente conclusa, si richiama con parole la necessità di una cooperazione giudiziaria che per quattro anni non si è realizzata. Certo, per colpa dell’Egitto, ma proprio per questa ragione bisognava essere assai più intransigenti. Separare, come è stato fatto, lo scambio commerciale dalla questione della cooperazione giudiziaria, ci ha consegnato inermi nelle mani del regime dispotico di Al Sisi, senza alcuna capacità di pressione e senza alcuna capacità contrattuale. È questo il punto. Parlare adesso e pretendere adesso, come è doveroso fare, passi in avanti nella ricerca della verità, è una scelta politicamente irresponsabile. Non si tratta di realpolitik, come sentite dire in questi giorni per motivare la scelta di questo scambio commerciale. È un realismo straccione fatto da persone che hanno rinunciato a considerare i diritti umani come devono essere: priorità tra le priorità.
Anche i governi precedenti hanno detto più volte che avrebbero preteso dall’Egitto maggiore cooperazione, ma poi di fatti ce ne sono stati sempre pochi. Questa compravendita allontana ancora di più la possibilità di avere giustizia per Giulio Regeni?
Temo di sì. E per quanto riguarda il comportamento degli altri governi non c’è il minimo dubbio che sia come lei ha detto. Io sono stato sostenitore dei precedenti governi di centrosinistra e anche quei governi si sono comportati come se avessero una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dell’Egitto. A dominare è stata l’inerzia. In questi quattro anni non è stata esercitata nei confronti dell’Egitto nessuna forma di pressione. Anche il richiamo a Roma dell’ambasciatore italiano al Cairo, richiamo che è durato per 16 mesi, e il successivo ripristino delle relazioni diplomatiche veniva motivato col fatto che così si sarebbe potuto seguire con maggiore efficacia l’iter dell’indagine giudiziaria. Da allora sono passati quasi tre anni e sul piano delle indagini giudiziarie, dal punto di vista dell’Egitto, non è stato fatto assolutamente nulla.
La Procura di Roma ha fatto qualcosa di veramente straordinario come capacità investigativa fino al punto di individuare i cinque funzionari del servizio segreto nazionale presunti responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni, ma non poteva andare oltre i limiti territoriali. Da questo punto di vista il ripristino delle relazioni diplomatiche ordinarie con l’Egitto non ha dato alcun contributo. Per questo c’è da temere che questo rafforzamento della cooperazione economica di cui la compravendita di armi costituisce un passaggio essenziale non porti maggiore cooperazione e quindi passi in avanti più decisi nella ricerca della verità sulla morte di Giulio.