Il paradosso di questo referendum è che è molto più importante di quello che sembra. E perché il quorum necessario sia raggiunto la scommessa è stata proprio questa: far capire che in gioco c’è più del destino di 21 concessioni per l’estrazione di gas e petrolio. Il quesito in sé è in effetti piuttosto limitato. Non così tecnico come qualcuno ha voluto far credere, come se fosse roba da addetti ai lavori. In fondo la scelta è semplice: volete che le concessioni per le trivellazioni entro le 12 miglia abbiano un termine prestabilito o che continuino senza limiti di tempo in base all’esigenza delle compagnie? È vero, piuttosto, che il referendum tocca una parte minoritaria delle trivellazioni nei nostri mari, che avvengono, e potranno continuare ad avvenire, oltre le 12 miglia marine. Dunque non cambierà tutto il 18 aprile.
Ma in gioco, appunto, c’è altro. C’è una scelta chiara sul futuro energetico. Volete che si continui a puntare sul fossile o che si metta in campo una strategia a lungo termine per la transizione alle energie rinnovabili? È vero, nulla vincolerà il governo, in nessun caso, a investire sulla green economy. Ma è un’occasione – l’unica al momento – per dire la propria su un’idea di sviluppo. Sono argomenti di cui si parla poco, eppure toccano il cuore della grande sfida mondiale di contrasto ai cambiamenti climatici. Che è anche una sfida di sviluppo economico. I lavoratori del solare negli Stati Uniti nel 2015, per il terzo anno di fila, sono cresciuti del 20 per cento, superando quelli attivi nel settore dell’estrazione di petrolio e gas.
Un’occasione, dunque, sicuramente imperfetta, ma non “inutile”. Definirla così significa svalutare non solo l’istituto del referendum ma anche il diritto di prendere posizione su un tema in cima all’agenda delle priorità in tutto il mondo.