Come si fa a fare gli auguri a uno che, per sua stessa ammissione, non gliene è mai interessato molto dei compleanni, e poi a 80 anni c’è poco da festeggiare ormai? Forse non facendoglieli proprio. Francesco Guccini compie 80 anni. È una notizia, punto. Il cantore del tempo andato, che ci ha regalato canzoni meravigliose, manifesti politici suo malgrado, ha sempre detto che in tanti anni di carriera alla fine ha semplicemente modulato un unico tema: il tempo che passa appunto. Difficile allora fermarlo, quel tempo fuggevole, in un’istantanea che renda merito a una complessità difficile da riassumere. I numeri parlano di 16 album in studio, 7 dal vivo, 3 raccolte. A cui si devono aggiungere i libri. Quando anni fa il testo della sua canzone “Un vecchio e un bambino” fu inserito in un sussidiario scolastico disse che un a canzone è una canzone, e senza musica non è completa. Le sue canzoni hanno raccontato tutto: l’amore, la morte e altre sciocchezze. Ha fatto rimare jukebox con fox, ha raccontato di frati che parlavano di dio e Schopenauer, di ubriachi nelle osterie di fuori porta, di Ulisse e Cristoforo Colombo, di Che Guevara e Carlo Giuliani. Apparentemente meno ricercato di altri suoi esimi colleghi cantautori, con le tasche piene e non solo i coglioni, ha portato nei suoi concerti anche la parola non cantata. Da quando saliva sul palco a inizio concerto a quando scioglieva le dita con i primi accordi di “Canzone per un’amica” potevano passare anche venti minuti, in cui Francesco parlava di attualità politica e di amori lasciati andare, di grandi sorsi di vino e di vite comuni. Nei suoi testi, se si va a cercare, si ritrovano echi di grande letteratura, americana e italiana, si ritrova quella luce fioca, di lampadina da 30 candele di gozzaniana memoria, insieme a richiami danteschi e omerici. Sempre con quel tempo che fugge in sottofondo, e che nessuno può riportare indietro. “Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni,
gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti, l’ arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?”, cantava ormai una ventina di anni fa.
Ognuno di noi ha una sua canzone preferita, per ognuno diversa, ma tutti abbiamo una cosa in comune: almeno una volta abbiamo istintivamente alzato il pugno mentre ascoltavamo di quella locomotiva, lanciata bomba contro l’ingiustizia.
E allora auguri, Maestrone!
Foto dalla pagina Facebook di Francesco Guccini