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Tratto dal podcast
Fino alle otto di gio 11/06 (terza parte)
Fino alle otto | 2020-06-11
Carlo Monguzzi è consigliere comunale di Milano, ma a partire dagli anni ‘90 è stato consigliere regionale tra il 1995 e il 2010. Con lui ripercorriamo come è cambiata la sanità lombarda negli ultimi 30 anni, quando la regione era sotto la guida prima di Roberto Formigoni, poi della Lega di Roberto Maroni e Attilio Fontana.
L’intervista di Sara Milanese a Fino Alle Otto.
Negli anni ‘90 comandavano i democristiani e in misura minore i socialisti, quindi c’era una spartizione: un po’ a me, un po’ a te, un po’ ai repubblicani, un po’ ai liberali, un po’ ai socialdemocratici. La grande differenza rispetto ad oggi è che i democristiani di allora mettevano nei posti apicali persone competenti, anche se lottizzate. Quindi la sanità funzionava in Lombardia.
Io ricordo assessori democristiani alla Sanità che all’inizio avevo combattuto politicamente, ricordo per esempio Mario Fappani, che poi si è rivelato uno per bene, bravo. Non sto rimpiangendo il passato, ma ammetto che allora le cose funzionavano, c’erano le competenze.
Poi arrivò la riforma di Formigoni, contro la quale, ricordo, ci fu un anno e mezzo di ostruzionismo, che introdusse il privato, e la cui logica era: mettiamo in competizione il pubblico e il privato e vinca il migliore. Solo che le condizioni non erano le stesse: cioè il privato aveva tutte le facilitazioni e il pubblico no.
Da li è iniziato lo smantellamento del sistema sanitario pubblico.
Esatto. Faccio un esempio: per un’appendicite la Regione dava lo stesso contributo a pubblico e privato; ma un conto è fare l’operazione su un ragazzo di 10 anni, e un conto è operare un diabetico di 50. Il pubblico era costretto giustamente a curare anche il diabetico, il privato no, poteva scegliere. Quindi non era un regime di concorrenza, ma di fatto una svendita totale al privato. Da lì in poi è iniziato il disastro della sanità pubblica, che è stata concentrata tutta negli ospedali, perché questo dava prestigio. Formigoni era molto attento al potere e anche all’immagine, quindi al prestigio. I grandi ospedali che attiravano pazienti da tutta l’Italia, ma anche dall’Europa, erano ospedali dove si facevano le grandi operazioni, dove c’erano i grandi chirurghi. In Lombardia c’erano addirittura 19 cardiochirurgie, una cosa enorme, però dava prestigio.
Assieme a questa cosa del privato si è inserito il sistema di potere ciellino- formigoniano, nella sanità come in altri settori. Ricordo che venivano imprenditori da noi a dire “Non possiamo fare niente perché non siamo della Compagnia delle opere”, la quale governava il sistema dell’imprenditoria e che poi è finita nel mirino della Magistratura.
Ricordo anche le nomine dei commessi in regione, che non è una posizione così prestigiosa e remunerata, eppure erano tutte in mano a ciellino. I quali hanno però mantenuto un certo livello di qualità, faccio solo l’esempio di Carlo Lucchina, che è stato direttore alla sanità lombarda, che era competente in materia e piazzava suoi fedeli competenti.
Il disastro è arrivato con la Lega, che ha mantenuto questo sistema di potere, ma non aveva persone competenti.
Ricordiamo le date: Formigoni è stato governatore dal 1995 al 2013, poi è arrivato Roberto Maroni, che nel 2018 ha passato il testimone ad Attilio Fontana. Come è intervenuta la Lega nel rapporto tra sanità pubblica e privata?
La Lega ha accentuato quello che Formigoni stava facendo. Purtroppo la Lega, non so chi di loro ha inserito tutta questa fuffa che c’è adesso, mi riferisco a queste figure fedeli alla linea che non sanno di medicina e sanità. C’è stata un’occupazione di posti di potere con gente che non sa fare il suo mestiere, penso al Pio Albergo Triulzio per esempio. Che in Regioni non ci siano figure competenti nella sanità si vede per esempio da come è stata smantellata la medicina territoriale. E a conferma di questo, basti ricordare come i medici di base durante questa pandemia non potevano nemmeno richiedere i tamponi.
Proprio ieri c’è stato un cambio al vertice della direzione generale della Sanità lombarda, con la cacciata di Luigi Cajazzo, in quota leghista considerato braccio destro di Gallera, e l’arrivo di Marco Trivelli, manager sanitario, cresciuto con Roberto Formigoni.
Questo vuol dire da una parte che i ciellini non se sono mai andati davvero: neanche la Lega è riuscita in questo. d’altra parte questa è la dimostrazione che anche il più sciocco in Regione si è accorto del disastro della prestazione della sanità negli ultimi mesi. Avrebbe dovuto dimettersi Gallera, ma era chiaramente più facile rimuovere il direttore generale, perché resta un cambio più tecnico che politico. Di fatto il direttore generale è il responsabile della Sanità, ma segue linee politiche che arrivano dalla Regione. Questo è il momento di ridare dignità alla sanità lombarda, dobbiamo approfittare di questa situazione, la madre di tutte le battaglie deve essere questa.
Foto di Amstead23 – Opera propria