Con Jimmy Cobb, morto domenica 24 maggio a 91 anni per un tumore, dopo una lunga malattia, se ne va – dopo Lee Konitz, mancato in aprile – un altro degli ultimi grandi protagonisti del jazz della generazione degli anni venti e dei primi anni trenta del secolo scorso.
Cobb, ormai da tre decenni, dalla morte di Miles nel ’91, era l’ultimo sopravvissuto degli artefici di Kind of Blue di Davis. Il tatto, la discrezione della batteria di Jimmy Cobb sono stati fondamentali nell’esito di Kind of Blue.
Ma la lunga carriera di Cobb, che a New York ha suonato e inciso ancora lo scorso anno, merita di essere ricordata non solo per un album tanto “iconico”, come si usa dire oggi.
Nato a Washington nel 1929, Cobb si forma come batterista principalmente da autodidatta: i primi ingaggi sono durante la seconda guerra mondiale, quando tanti musicisti vengono chiamati sotto le armi e l’esigenza di rimpiazzarli apre spazi ai giovanissimi. Negli anni quaranta Cobb rimane affascinato dal bebop, il nuovo rivoluzionario linguaggio che ha fatto irruzione sulla scena del jazz, e i primi ad ispirarlo sono Max Roach e Kenny Clarke, i grandi innovatori della batteria in questo nuovo indirizzo del jazz.
Mentre è ai primi passi della carriera, a Washington, Cobb lavora tra l’altro con Billie Holiday. Nel ’50 poi è a New York: fra il ’51 e il ’55 è il batterista e il direttore musicale di Dinah Washington, una delle più grandi cantanti della storia del jazz, che diventa sua moglie. E proprio all’avere spesso lavorato con cantanti Cobb faceva risalire la sua sensibilità di batterista, al fatto di avere sviluppato la capacità di ascoltare e di stare dentro quello che avveniva musicalmente. Negli anni settanta poi Cobb sarà accanto alla grandissima Sarah Vaughan, con cui girerà il mondo.
Cobb ha avuto occasione di ricordare che quando nel ’59 incisero Kind of Blue, non immaginava che ne sarebbe venuto fuori uno dei grandi classici del jazz: “Era semplicemente un’altra seduta di incisione di Miles Davis. Ma suonammo della musica diversa” – di tipo modale – “ed era la prima volta che lo facevamo”.
Dopo Kind of Blue e il lavoro con Davis, anche per altri album (ma a cavallo fra anni cinquanta e sessanta Cobb è varie volte in studio di incisione con Coltrane, e inoltre con Cannonball Adderley, Benny Golson, Art Pepper, Wayne Shorter…), negli anni sessanta Cobb prosegue con il contrabbassista Paul Chambers e il pianista Wynton Kelly: assieme erano stati la ritmica di Davis, e si producono sia come trio che al servizio di altri, come una delle combinazioni piano/basso/batteria più straordinarie e ammirate del jazz moderno.
Dotato di un tocco unico sui piatti, di un fantastico senso delle dinamiche, e capace come pochi altri di far funzionare la coppia basso/batteria come una cosa sola, Cobb non è stato un batterista spettacolare o che amasse mettersi in luce in solo: era piuttosto un batterista che suggeriva, che suonava con un atteggiamento di grande understatement ma di estrema autorevolezza.
Nel febbraio scorso la figlia di Cobb aveva lanciato una raccolta di fondi, spiegando che da due anni il padre affrontava seri problemi di salute, ma che i limiti delle risorse economiche di cui disponeva gli avevano impedito di ricevere le cure più appropriate.
Foto di Krajazz