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Tratto dal podcast
Prisma di mer 13/05 (seconda parte)
Lombardia | 2020-05-13

ATS Milano ha iniziato a rendere disponibile un report giornaliero con la mappa del contagio da COVID tra le province di Milano e Lodi. Ne abbiamo parlato a Prisma con Walter Bergmaschi, direttore generale dell’ATS Città di Milano: “Al momento la situazione non ci sta preoccupando”. Le novità sui tamponi e i test sierologici.
Avete deciso di pubblicare una mappa del contagio aggiornata dei casi certificati con tamponi e segnalati come sospetti COVID dai medici di base, con una geolocalizzazione dei casi per mille abitanti…
Abbiamo deciso di aggiornare sul nostro sito la situazione quotidianamente e pubblicare la mappa geografica riferita al tasso del contagio, confrontato con la media dei sette giorni precedenti. Si vede così tutto l’andamento dell’epidemia: prima del lockdown, durante e attualmente. Oggi sostanzialmente forniamo questo dato con due variabili, i soli casi accertati, ma per tenerlo sotto controllo meglio lo forniamo anche con i casi sospetti ovvero segnalati dai medici di medicina generale, ma ancora non accertati. Con questa seconda variabile oggi [12 maggio, N.d.R.] siamo attorno a un tasso R con T pari allo 0,8, costantemente al di sotto del livello R1. Un livello indicativo di un contagio che sta rallentando anche se si mantiene ancora vicino a quella soglia che noi consideriamo da non superare. Abbiamo anche un grafico che propone i casi accertati e presunti, rispetto a degli scenari: quello atteso, quello di rischio e quello che ci farebbe tornare a provvedimenti di chiusure.
E dove siamo ora?
In questo momento, mettendo insieme i risultati dei tamponi e le segnalazioni dei medici di medicina generale, rispetto alla fine del lockdown, non osserviamo una situazione che ci sta preoccupando. È ovvio che sono i primi giorni, sappiamo benissimo che una eventuale ripresa del contagio richiede qualche giorno prima di esprimersi, però abbiamo un sistema che ci permette di tenerla sotto controllo tempestivamente, in modo da dare le informazioni a chi deve decidere anche sulle aperture o sulle chiusure, in modo che possa farlo con consapevolezza.
La fotografia della città di Milano?
Abbiamo un’epidemia che ha interessato più zone, la città di Milano quasi interamente, anche se nel tempo, e per fortuna, il livello del contagio si è mantenuto costante senza che l’epidemia sia esplosa in città. Ma si è mantenuta. Ci sono zone in cui l’incidenza è superiore, sono le aree più vicine a quelle del lodigiano o nell’area Nord accanto alla zona di Bresso, dove abbiamo registrato un’incidenza piuttosto elevata. Le zone periferiche più densamente abitative hanno un’incidenza maggiore, rispetto ai quartieri del centro dove ci sono anche molti meno residenti.
Avete allargato la possibilità ai medici di base di chiedere tamponi?
La novità della fase 2 è questa sostanzialmente. Da lunedì i nuovi casi segnalati dai medici di medicina generale non aspettano la guarigione per poter fare il test o il tampone, ma vengono contattati immediatamente dall’Ats per prenotare un tampone che viene eseguito tra le 48 e le 72 ore successive. In 24 ore i medici ci hanno segnalato più di 250 casi, in 170 casi le persone hanno avuto già una prenotazione in una rete di una ventina di ambulatori attrezzati per eseguire i tamponi; in una trentina di casi andremo al domicilio, perché il paziente non era nelle condizioni per recarsi con un mezzo proprio. Nei rimanenti casi non abbiamo trovato le persone perché non hanno risposto al telefono oppure ci hanno chiesto di poter essere richiamate perché non stavano bene.
Come siete arrivati a questa scelta?
La diminuzione dei casi assoluti ci permette di gestire meglio i nuovi casi incidenti e di essere più tempestivi. E mentre prima tutta la popolazione era in un regime di isolamento domiciliare o quasi, nel momento in cui molte persone possono tornare ad un’attività normale, diventa più importante essere ancora più tempestivi nell’individuare i nuovi casi, nell’isolarli e nell’isolare soprattutto i loro contatti stretti.
Quindi gli ascoltatori a cui è stato detto dal vostro numero verde: “State a casa, verrete contattati”, devono aspettare?
Ci sono casi diversi. Il regista di tutta questa operazione è ovviamente il medico di medicina generale, che è la persona che ha la responsabilità di cura dei pazienti. Se il medico ha già prescritto il tampone in uscita [cioè per le persone che erano in isolamento domiciliare e che devono tornare al lavoro, N.d.R.] e si poteva farlo fino venerdì 9 maggio, il paziente verrà ovviamente chiamato, anche se ci vorrà ancora una settimana per smaltire gli arretrati di tamponi da eseguire. I nuovi casi, invece, vengono affrontati con questa nuova modalità.
Test sierologici. Lei ha ricevuto pochi minuti fa la delibera regionale, ma le chiediamo una prima riflessione generale…
Abbiamo un’indicazione molto chiara dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Ministero della Salute che un test sierologico di per sé non è indicativo né per un motivo diagnostico né prognostico, cioè non ci fornisce informazioni per sapere se siamo o non siamo infetti, perché la negatività al test non vuole dire non essere infetto in quel momento; così come non ci fornisce ancora e purtroppo una informazione sulla immunità. La speranza è che questi test tra poche settimane possano dire se una persona è immune oppure no. In questo momento il test non dà nemmeno questa informazione. I test, quindi, hanno uno scopo certamente utile in chiave epidemiologica che può essere anche utile per la persona solo all’interno di un percorso protetto e in cui ci sia anche una valutazione clinica. Quindi continuiamo a pensare che le iniziative estemporanee, al di fuori di ogni logica di sanità pubblica, non siano appropriate. E la delibera regionale lo conferma, richiamando la pericolosità di iniziative che non hanno un corretto inquadramento, che non informano il paziente in maniera chiara sui limiti del test e che gestiscono poi i risultati, se positivi, in maniera non corretta.
Quale è la maniera corretta?
Se un’azienda o un ente vuole avviare un percorso di screening collettivo dei propri dipendenti o di gruppi di cittadini, lo può fare condividendo con Ats un percorso completo, con un medico che gestisce completamente le procedure, informando correttamente ogni cittadino coinvolto e procedendo in caso di positività verso gli approfondimenti necessari, sempre a cura di chi ha organizzato lo screening per non pesare sul sistema pubblico, in modo che chi organizza una campagna ne governi gli effetti e sia responsabile di tutto il percorso in condivisione con Ats. Così le informazioni certificate potranno essere utili anche per la sanità pubblica.
Cosa sapremo il 18 maggio?
Noi abbiamo impostato un sistema per avere, diciamo, dei semafori molto tempestivi, perché alcuni andamenti il 18 maggio si potranno vedere. Però è anche vero che del virus sappiamo ancora molto poco. Quello che sappiamo con certezza è che le misure di distanziamento sociale e l’uso della mascherina sono misure efficaci perché abbiamo visto cosa è successo durante il lockdown. Quello che purtroppo dobbiamo monitorare, navigando un po’ a vista, è quello che succede man mano che il distanziamento sociale si riduce. Per questo indubbiamente bisogna andare un passo alla volta e serve tenere sotto controllo tutti i fattori. Il 18 maggio avremo certamente i primi dati relativi alle prime due settimane della cosiddetta “riapertura”; non sono sufficienti, ma cominceranno a darci dei segnali per gestire la situazione nel caso si registrasse un aumento del numero dei casi.
C’è qualche politica o disponibilità di risorse che invidia ai suoi colleghi in Veneto?
Invidio il fatto che non sono stati l’epicentro di un terremoto. Credo che tra un anno, probabilmente, noi avremo tutti gli elementi per capire cosa è successo e per capire quali politiche hanno portato i risultati migliori e quali interventi siano stati sbagliati. Sarebbe un grande valore riuscire a riconoscere degli errori dove ci sono stati, perché questa pandemia ha messo in difficoltà anche sistemi sanitari di grande tradizione ed evoluzione e ragionare sugli errori è il miglior modo per trovarsi preparati per il domani. Oggi francamente non sono ancora in grado di capire se nelle politiche del Veneto ci siano state azioni così efficaci oppure se non essendo l’epicentro dell’epidemia i numeri abbiano comunque aiutato. Credo che un sistema sanitario debba misurarsi con tutti i dati a disposizioni per poter valutare e correggersi, analizzando serenamente tutti i fattori, a tempo debito.
La mappa del contagio, aggiornata quotidianamente, è consultabile a questo indirizzo.