Dopo la Liberazione non è mai successo che il corteo del 25 aprile venisse cancellato. Anzi è stato proprio negli anni più difficili della nostra Storia che quello stare insieme, quel ritrovarsi ha avuto il senso più profondo. Ci furono gli anni delle stragi, del terrorismo, gli anni delle trame eversive che rimisero in discussione la democrazia riconquistata con la Resistenza. E chi non ricorda il ’94, quando un fiume di persone, sotto un mare di ombrelli, volle farsi sentire, volle dire: “Noi vigileremo, ora che Berlusconi porta al Governo i postfascisti di Alleanza Nazionale”?
Sarebbe stato un grande corteo, questo del 75esimo anniversario della Liberazione. Un corteo consapevole del rischio ancora reale di un governo Salvini – Meloni. Il corteo di chi solo tre mesi fa ha temuto che l’Emilia-Romagna cadesse nelle mani della Lega, e ha toccato con mano l’effetto domino.
E invece staremo a casa, sul balcone – chi ce l’ha – con lo smartphone – chi ce l’ha. Molti italiani di una certa età non ce l’hanno, ma in corteo ci andavano, anche coi loro acciacchi. Questo virus che ci tiene lontani ha colpito duro proprio nella generazione di chi allora c’era, chi ha respirato la puzza della dittatura e soprattutto della guerra.
Oggi più che mai siamo chiamati a prendere il testimone della memoria, da una generazione che pensava di averle ormai viste tutte.