Siamo molto vicini al momento in cui potremmo dire che il primo tempo dalla nostra battaglia è vinto, dice l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera dopo dieci minuti di autodifesa sui gesti eroici messi in campo da noi, testuale, di fronte alla bomba atomica esplosa nella Regione. E si pensa già alla Fase 2 in Lombardia.
Dodicimila ricoverati circa, in effetti, non li ha avuti nessuno. Ciò non toglie che se ora la Regione vuole uscirne deve fare medicina del territorio, più tamponi e poi l’avvio dei test sierologici ancora da certificare. Due azioni che devono sommarsi. La paura poi è che i cittadini mollino, oltre 40% la mobilità registrata ieri.
E non aiutano le discussioni sempre più confuse sulla fase 2 in Lombardia e le riaperture.
In mattinata il sindaco di Bergamo Giorgio Gori polemizzava, in un post su Twitter poi rimosso, con il virologo Pregliasco, dicendo che Bergamo poteva ripartire per prima proprio perché aveva avuto più positivi e, quindi, domani più immuni. A Milano il sindaco Beppe Sala annuncia la riapertura di alcuni cantieri “con estrema prudenza”.
È già ripartito il cantiere della nuova linea 4 della metropolitana. E poi si valuterà caso per caso. I sindaci del fare parlano con la paura che dopo la serrata nulla sarà più come prima, ma il virologo più ascoltato proprio dal Comune di Milano, Massimo Galli dell’ospedale Sacco, invece ribadisce che è prematuro avviare una fase 2, anche se bisogna programmarla: “Altrimenti si rischia di spalmare la ripresa in un tempo infinito o anticiparla a rischio di focolai”.
Cosa programmare? Piani diagnostici per tutti, non solo per chi va a lavorare. Anche perché avere gli anticorpi, quando ci saranno test affidabili a certificarlo, non significa non essere infetti, per quello ci vuole il tampone. La fase due non esiste senza la certezza sanitaria. Questione di tempi e responsabilità.
Foto dalla pagina Facebook di Attilio Fontana