
L’incredibile storia di Joe Exotic, disponibile su Netflix: Tiger King. Si fa chiamare Joe Exotic. Ha una cinquantina d’anni, i capelli platinati, un fortissimo accento del sud degli States, una passione per le camicie appariscenti. È iper-conservatore, naturalmente: gira sempre con una pistola alla cintura, «per gli esseri umani, eh, mica per le bestie», dice. A un certo punto si candida come presidente degli Stati Uniti. È dichiaratamente gay, ha due mariti contemporaneamente, più avanti ne sposa un terzo. Di lavoro gestisce uno zoo privato, con centinaia di tigri e grandi felini, in un piccolo paesino dell’Oklahoma.
File di turisti si affollano ai cancelli della proprietà, soprattutto perché Joe permette loro di accarezzare i cuccioli di tigre, e di farsi selfie con gli animali. Joe sostiene anche di essere un cantante country, diffonde online video in cui canta l’amore per i propri animali; ha una web tv, e quasi tutti i giorni trasmette lunghe dirette, sempre più spesso dominate dalla sua ossessione per Carole Baskin, una milionaria che si proclama animalista (ma ha comunque pure lei uno zoo di grandi felini, anche se lo chiama “rifugio”) e che vorrebbe far chiudere lo zoo di Joe.
Questa è Tiger King, la docuserie di cui da qualche settimana stanno parlando tutti: pubblicata su Netflix il 20 marzo, è subito balzata in testa alle classifiche di visione negli Stati Uniti, anche perché i dati dicono che, da quando è iniziato l’autoisolamento collettivo, gli spettatori si sono rivolti sempre di più ai servizi streaming. Negli ultimi giorni il passaparola è arrivato anche da noi, con un effetto simile a quello che un paio d’anni fa coinvolse un’altra docuserie Netflix, Wild Wild Country.
A differenza di quella, che ricostruiva una serie di fatti accaduti negli anni 80, Tiger King arriva fino a pochi mesi fa, e lascia alcuni fili della vicenda ancora aperti, cosa che sicuramente contribuisce al coinvolgimento del pubblico (e uno sceriffo della Florida ha invitato calorosamente gli spettatori che avessero dritte da dargli su un particolare caso irrisolto raccontato nella serie a telefonargli).
Ma come si spiega la Tiger King-mania? Su internet c’è chi l’ha definito Il trono di spade white trash: quasi nessuno si sarebbe mai aspettato che esistesse un tale sottobosco attorno al business degli zoo privati, un mondo a parte con i propri sovrani e vassalli, i propri intrighi e le proprie regole, naturalmente quasi sempre oltre il confine dell’illegalità.
Esistono oggi più tigri in cattività in Usa di quante ne esistano libere nel resto del mondo, e non c’è solo un continuo sfruttamento da parte di zoo privati (che fanno riprodurre di continuo le tigri per avere i cuccioli con cui far fare selfie ai turisti; cosa ne facciano degli animali una volta cresciuti e diventati costosissimi e ingombranti lo potete tristemente immaginare); c’è anche una florida compravendita sottobanco di animali selvaggi.
Oltre a Joe Exotic, il documentario realizzato dai filmmaker Eric Goode e Rebecca Chaiklin presenta una ricca sequela di personaggi incredibili e inquietanti: dal tipo che ha costruito un impero commerciale sul proprio zoo attraverso il quale recluta anche giovani ragazze come si farebbe in una setta, al tizio losco che viene da Las Vegas e riesce a fregare tutti, all’ex narcotrafficante che si crede una versione reale di Tony Montana ai tanti dropout, tossicodipendenti, ragazzini scappati di casa, che alla corte di Joe Exotic trovano una specie di rifugio, di mezzo di sostentamento, di comunità.
Così come i personaggi, anche il susseguirsi di colpi di scena di Tiger King sfida la credibilità: nessuno sceneggiatore avrebbe potuto immaginare un tale mix di “omicidi, caos e follia”, come recita il titolo originale. È l’altra faccia di un’America che in pochi, finora, erano riusciti a raccontarci; e Tiger King è una visione di grande intrattenimento, così folle e imprevedibile da creare dipendenza, ma attenzione: potrebbe lasciarvi con più di una nota di profonda tristezza.