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Coronavirus, come si spiegano le differenze della diffusione tra Italia e Cina?

epidemia coronavirus

Gli ultimi dati ufficiali che arrivano dalla Cina sull’epidemia di coronavirus COVID-19 sembrano confermare un graduale ritorno alla quasi normalità con soli 48 nuovi casi di positività, tutti importati, nelle ultime 24 ore, mentre in Italia ad oggi la situazione è ben diversa, dal più alto livello di mortalità ai nuovi positivi che, seppur in calo, vengono registrati giorno dopo giorno.

Come si riescono a spiegare le differenze tra l’Italia e la Cina nella propagazione del coronavirus COVID-19? Lo abbiamo chiesto al dottor Giuseppe Imbalzano, direttore sanitario di ASL della Lombardia per 17 anni. L’intervista di Alessandro Braga.

È possibile fare un confronto tra l’Italia e la Cina nella propagazione dell’epidemia di coroanvirus?

Non so se ricordate quando dopo i primi casi confermati in Cina hanno iniziato subito a costruire degli ospedali dedicato ai positivi. Questo credo sia uno degli elementi di differenza tra le due modalità con cui è stato affrontato il problema. Loro hanno concentrato tutti i malati che avevano nella zona di Wuhan e li hanno tenuti separati evitando che l’infezione continuasse ad andare in giro.
La Cina, lo dico in modo semplice, ha rinchiuso tutti i malati in ambienti con stanze fatte apposta per i malati infettivi, quello che non è successo in Italia. In Italia sono stati portati dei malati gravi in ambienti in cui hanno avuto un impatto significativo in termini di ulteriori infezioni perché non era possibile gestire i pazienti in modo regolato ed impedire il contagio degli stessi e di altri pazienti.

Come si spiega il caso della Bergamasca e di questa esplosione di contagi?

Sono stati coinvolti tutti gli ospedali ed ha influiti il fatto che siano stati trasportati malati infetti in ambienti senza la capacità di imporre delle limitazioni e delle situazioni di isolamento. Qui abbiamo situazioni in cui il paziente ha una grave patologia respiratoria e viene inserito in un ambiente dove la sicurezza per il malato, gli altri malati e gli operatori sanitari non è il massimo: il malato magari riesce a sopravvivere perché ha l’assistenza adeguata, ma altre persone vengono infettate. E abbiamo il dato di migliaia di operatori sanitari colpiti dal COVID-19 che a loro volta hanno infettato altre persone, dai pazienti ai familiari. La diffusione è stata legata proprio alla distribuzione dei pazienti a livello regionale, cosa che non è stata fatta in Cina. La Cina ha chiuso tutta la gente in casa e limitato i contatti e i contagi. Poi è ovvio che non metterei le mani sul fuoco sui numeri della Cina.

Anche sui numeri italiani che vengono snocciolati dalla Protezione Civile ogni giorno si continua a dire che si tratta di cifre sottostimate. Cosa ne pensa?

Io non sono convinto che siano molto sottostimati. Al numero dei decessi, lo vedremo alla fine, potrebbe aggiungersi qualcuno che è morto in casa in alcuni paesi. Non si tratterà di diecimila in più, ma di qualche decina o al massimo centinaia.
Per quanto riguarda le infezioni, non credo che siano così tanto sottostimati. Se noi avessimo altri 50mila casi, avremmo altri 50mila infetti prima o poi con contagio e con patologie gravi. In più sono meno di 40 giorni che ci troviamo in questa situazione ed è difficile non avere situazioni in cui i casi non siano evidenti. Mi spiego meglio: ogni caso dovrebbe avere circa 2 infetti, ma noi siamo chiusi in casa ormai da più di due settimane e affinché ci sia un’ulteriore infezione è necessario che ci siano contatti e contagi. Ci sono realtà in cui i contagi sono cresciuti rapidamente, come Milano, Bergamo e Brescia, ma in altre realtà ci sono 30-40 casi in un giorno. Quanti sono nascosti e quanti, tra questi nascosti, hanno prodotto ulteriori infezioni? Al di là della chiarezza di chi dice che ne sono tanti di più, dovrebbero anche dimostrarlo. I tamponi ci dicono che l’11% è positivo, ma c’è anche quell’89% di negativi che sono stati in condizioni di venir contagiati. Se avessimo il 100% di tamponi positivi allora le direi che dovremmo continuare a cercare. Così non è stato. Abbiamo avuto un massimo di 40% di tamponi positivi in una giornata, ma nelle altre giornate sono stati sempre più bassi. In Cina hanno fatto tamponi anche sulla popolazione lontana da Wuhan e hanno avuto percentuali bassissime, anche sotto all’1%.

Le ultime notizie dalla Cina ci dicono che nelle ultime ore ci sono stati solo 48 nuovi casi di coronavirus, tutti importati, e lì si sta pian piano tornando ad una situazione di quasi normalità. Secondo lei quanto ci vorrà in Italia?

Se andiamo avanti così, nel giro di 30-40 giorni dovremmo essere tranquilli. Il problema è che è possibile che resti qualche caso attivo, ma il grosso verrà ridimensionato perché la maggior parte dei malati diminuirà e in queste settimane non c’è stato contatto. È per questo che non credo a chi stima che i malati siano così tanti di più dei dati ufficiali. Fanno queste stime perché il numero dei morti è più alto rispetto alla Cina: se lì il tasso di mortalità è del 2%, deve essere così anche in Italia. Ma non è vero. La differenza è che lì hanno avuto pazienti relativamente giovani e sono intervenuti in una situazione in cui non c’è stata questa diffusione in ambienti ospedalieri e non sono stati colpiti malati che avevano patologie preesistenti. La questione è collegata con questa condizione di età e alla frequenza dei malati che sono stati colpiti ad un’età più avanzata.

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