Sono cento milioni le mine antiuomo disseminate nel mondo. Ordigni che continuano a uccidere o a mutilare anche a distanza di decenni. Le vittime, soprattutto civili e in particolare bambini, sono migliaia ogni anno in ogni continente: fino al 2013 erano in diminuzione, dal 2014 sono tornate a crescere. Per mantenere alta l’attenzione su questo enorme pericolo, il 4 aprile è stato dichiarato dalle Nazioni Unite Giornata internazionale contro le mine antiuomo.
Il Paese più colpito è l’Afghanistan, seguono nell’ordine Colombia, Angola, Myanmar, Pakistan, Siria, Cambogia e Mali. L’Europa non è stata risparmiata: il Paese con il maggior numero di ordigni inesplosi è la Bosnia: le mine antiuomo vennero collocate durante la guerra del 1992-1995 infestano ancora il 2 per cento del territorio e la bonifica non sarà ultimata prima del 2025.
Dal marzo del 1999 è entrata in vigore la Convenzione di Ottawa, il trattato delle Nazioni Unite “per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione” in tutto il mondo. L’Italia, che è tra i firmatari, fino agli anni Novanta è stata tra i principali produttori di mine antiuomo. Trentasei Paesi, tra cui gli Stati Uniti, tuttora non vi aderiscono.
“Alcuni tra i Paesi che non hanno aderito alla Convenzione continuano a fare uso delle mine antiuomo”, spiega Giuseppe Schiavello della Rete italiana per il Disarmo e direttore italiano della campagna contro le mine antiuomo. “Ma oggi le mine vengono utilizzate soprattutto da gruppi ribelli. Dobbiamo tenere presente che ormai assistiamo a conflitti asimmetrici, con forze spesso non riconosciute a livello governativo, che agiscono al di fuori delle convenzioni”.
Le attività di bonifica richiedono, come nel caso emblematico della Bosnia, decenni e per la loro complessità rientrano in un impegno più ampio – la cosiddetta Mine Action – che “come indica il segratario dell’Onu Ban Ki Moon, è un’azione umanitaria a tutti gli effetti”, precisa Schiavello.
“Esiste un’agenzia dell’Onu che si chiama Unmas, cui spetta il coordinamento di una serie di risorse che vengono destinate, direttamente o indirettamente, dai 162 Paesi che aderiscono alla Convenzione. Le operazioni di bonifica vere e proprie vengono condotte sul campo da varie organizzazioni umanitarie e dalle squadre Unfil, che invece sono corpi militari. Attraverso queste realtà vengono formati bonificatori anche a livello locale. È evidente che, trattandosi di esplosivi, queste attività richiedono sempre una supervisione tecnica. Non ci può essere improvvisazione. In ogni Paese che necessita di bonifiche ci sono dei Mine Action Centers, che stabiliscono le priorità di intervento, affiancati da programmi di Mine Risk Education, che servono a preparare gli abitanti di quelle zone ai rischi degli ordigni inesplosi e a saperli riconoscere prima che possano esplodere”.
Ascolta qui l’intervista integrale a Giuseppe Schiavello
Giuseppe Schiavello Mine per sito