Bruno Arpaia è stato ospite di Cult per presentare il suo nuovo romanzo, “Il fantasma dei fatti“, edito da Guanda. L’intervista di Ira Rubini.
“Vi hanno mandato loro?” è la domanda-affermazione intorno alla quale ruota il clima, lo stile e il cinismo di alcuni dei personaggi di questa narrazione. Giusto?
Sì. È la scena immaginata nel mio romanzo in cui due agenti della CIA si presentano a casa di Thomas Karamessines, che è stato all’inizio degli anni ’50 il capo della stazione della CIA di Roma ed è poi diventato il capo delle operazioni coperte della CIA per molti anni, partecipando alla cattura di Che Guevara, al tentativo di primo colpo di stato in Cile contro Allende. Karamessines è chiamato a testimoniare davanti alla commissione della Camera degli Stati Uniti e per questo due agenti della CIA lo vanno a trovare.
Perché Thomas Karamessines veniva chiamano Tom il Greco?
Perché è di origine greca. Era entrato nei servizi segreti americani durante la guerra mondiale e da lì era entrato nella CIA dopo la sua costituzione.
Senza rivelare troppo del libro “Il fantasma dei fatti”, dobbiamo citare la presenza di Karamessines in Italia tra il 1961 e il 1963.
L’idea di partenza per la lunga ricerca che ho fatto sono stati i quattro avvenimenti accaduti tra l’ottobre 1961 all’inizio del 1964: la morte di Mario Tchou in un incidente stradale; l’attentato ad Enrico Mattei che chiude le nostre possibilità di autonomia energetica; le incriminazioni e le condanne di Felice Ippolito, direttore del Comitato nazionale per l’energia nucleare, e di Domenico Marotta, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Pochi sanno che in quel periodo l’ISS era all’avanguardia nel Mondo e attirava cervelli in Italia. Dopo questi quattro eventi l’Italia perde completamente qualunque eccellenza in campo energetico, elettronico, informatico e biotecnologico e viene relegata in un secondo piano. Inizia uno sviluppo senza conoscenza, fondato su basse tecnologie, che stiamo scontando ancora oggi. Il declino dell’Italia dipende anche da questo: nell’età della conoscenza l’innovazione e la ricerca scientifica sono fondamentali. L’idea era capire se dietro questi quattro eventi avvenuti nel giro di così poco tempo ci fosse un complotto. A godere di questo stop dell’Italia erano in primo luogo gli Stati Uniti. O almeno quella era l’ipotesi di partenza. Non racconto soltanto Thomas Karamessines e la sua vita, ma anche gli 11 anni di ricerche che ho svolto che mi hanno portato a cambiare quasi completamente il mio punto di vista su questa vicenda cruciale anche per l’Italia attuale.
Ne “Il fantasma dei fatti” sottolinei che ci sono mille aderenze a fatti realmente accaduti e al fatto che un uomo chiamato Karamessines è stato davvero capo della stazione CIA di Roma, ma tu hai anche creato un personaggio che progressivamente hai immaginato anche in termini umani.
Sì, è un personaggio complicato. Ho scoperto che molte fonti indicavano Karamessines come l’autore di un rapporto ancora oggi secretato sulla morte di Enrico Mattei e un personaggio che era fuggito dall’Italia quella stessa notte o il giorno dopo l’attentato a Mattei. Questo lo ripetevano moltissime fonti e anche la Commissione Stragi della Camera. In realtà ho appurato che Karamessines non solo non era in Italia in quel periodo, ma era stato richiamato a Washington a marzo, molti mesi prima. Mattei è morto mentre è in corso la crisi dei missili a Cuba e Karamessines stava lavorando proprio su quello.
Io all’inizio pensavo che Karamessines fosse il Cattivo totale, alla fine arrivo a pensare che forse era davvero un figlio di puttana, ma che giocasse comunque seguendo certe regole. Anche dal punto di vista umano era una personalità complessa, molto chiusa e molto penetrante, capace di analisi molto più profonde di quelle che venivano fatte normalmente negli ambienti americani, inglesi o italiani sulla situazione politica complessa di quel periodo.
All’interno del libro ci sono riproduzioni di documenti del tempo molto significativi che utilizzano un lessico che si ritrova molto in tutto il libro. Credo che tu abbia prestato molta attenzione ad una possibile chiave di dialogo del personaggio e dei personaggi che incontra.
Certamente. Penso anche a quella prima scena, quella lunga giornata tra gli agenti della CIA e Karamessines, è stata la parte tecnicamente più difficile. Ho dovuto far parlare persone per quasi 24 ore utilizzando spesso racconti di seconda o di terza mano. Per farlo bisogna ovviamente essere molto attenti al lessico dei personaggi. Tutto può contribuire ad arrotondare il personaggio.