La stagione 1965-66 era al via e la Federazione italiana pallacanestro aveva deciso per quella stagione di riaprire la possibilità alle società italiane di tesserare giocatori stranieri, uno per il campionato e due nelle competizioni internazionali.
L’Olimpia Milano di Bogoncelli, targata Simmenthal, ebbe una doppia felice intuizione. Tesserò il favoloso Skip Thoren per giocare sotto canestro e gli affiancò in coppa Bill Bradley.
Non era uno qualunque: colto e ricco di famiglia, era soprannominato “il fidanzato d’America”. Bradley pareva lanciato una scintillante carriera da professionista, come dimostrava la fascia da capitano della nazionale Usa alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. A sorpresa decise di rinunciare temporaneamente al professionismo per proseguire gli studi in Europa e approdò a Milano, preludio di un’ottima avventura nella Nba e di una ventennale esperienza da senatore del Partito democratico statunitense.
Bradley allora era molto popolare oltreoceano e così il 1 aprile del 1966, ineditamente, le tv americane decisero di acquistare i diritti per trasmettere la finale di Coppa Campioni. Teatro della sfida era Bologna, a sfidarsi l’Olimpia e lo Slavia Praga.
Oltre ai due americani i milanesi schieravano Gianfranco Pieri e Gabriele Vianello e poi Sandro Riminucci. In panchina c’era Cesare Rubini, da quella stagione affiancato dal suo pupillo Sandro Gamba.
La vittoria per 77 a 72 della Simmenthal fece conoscere alle masse il basket, fino ad allora destinato a una ristretta cerchia. Non solo entro i confini, una leggenda aveva inizio.
Era la prima vittoria in campo continentale di una squadra italiana, poi ne arrivarono tante altre in bianco rosso. E Varese e Cantù. E Roma e Bologna.
Per questo cinquant’anni fa si fece la storia, racconta coach Dan Peterson.