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Tratto dal podcast
Fino alle otto di lun 27/01 (terza parte)
Italia | 2020-01-27
La riconferma del presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, candidato del centrosinistra, ha segnato il fallimento della strategia violenta e polemica di Matteo Salvini. Cosa si evince, però, dai risultati del voto in Emilia-Romagna?
Ne abbiamo parlato con Luca Alessandrini, direttore dell’Istituto Storico Parri Emilia Romagna. L’intervista di Alessandro Principe a Fino alle Otto.
Che lettura darebbe alla riconferma di Stefano Bonaccini?
La prima è la grande paura. Sembra impossibile che in Emilia-Romagna la sinistra debba avere paura di perdere. Indipendentemente dal risultato finale, che dà un grande vantaggio alle liste che sostengono Bonaccini, non era mai accaduto che ci fosse una paura così forte. Una paura che rievocava il 1999, quando la sinistra perse il comune di Bologna. Come si diceva correttamente a quel tempo, perse la sinistra, non vinse la destra. In Emilia-Romagna avevamo un fantasma che accompagnava la grande paura di perdere di fronte a Salvini: la paura del 2014, quando in una regione che aveva afflussi alle urne superiori alla media nazionale andarono a votare il 37,7% degli elettori. Uno schiaffo a mano aperta al partito di maggioranza della nostra Regione.
Ora questo voto sarebbe rientrato di fronte alla paura di Salvini o si sarebbe confermato un distacco dal Partito Democratico? Questa era la grande domanda che ha accompagnato queste elezioni e credo che la risposta non sia chiarissima. Al fianco del sollievo per aver fermato la destra nazionalista bisogna analizzare bene cosa è accaduto.
Colpisce, e questo era prevedibile, che ci sia stato un voto disgiunto praticato non soltanto nell’ambito della sinistra. Il Movimento 5 Stelle crolla in Regione in modo impressionante, col 4,7% dei voti, ma il candidato presidente di M5S ha preso solo il 3,5%: questo è il voto disgiunto. Questi hanno votato per Bonaccini per paura di Salvini, rinunciando al voto di partito.
Forza Italia, che è un partito di centrodestra e che ha rappresentato anche una parte del moderatismo, ha visto un fenomeno particolare. Anche lì è evidente il voto disgiunto: Forza Italia aveva il 5,9% e ha preso il 2,56% ed è molto probabile che una parte di questi voti siano andati a Bonaccini. C’è stato anche un riferimento esplicito negli ultimi giorni di campagna elettorale ad una possibilità di un voto disgiunto di Forza Italia che è stato negato dalla senatrice Bernini all’ultimo momento in maniera un po’ pacata. Aggiungo che la lista per l’Europa, che ha preso soltanto l’1,95%, era una lista che sosteneva Bonaccini, ma che come capolista aveva Cazzola, esponente di Forza Italia.
Quanto ha influito il movimento delle Sardine?
Questa è una grande domanda alla quale non c’è risposta. Le Sardine hanno svolto un ruolo, hanno ricordato che non era il caso di perdere. Hanno ricordato che, indipendentemente dalle opinioni nell’ambito di un centrosinistra estremamente articolato e lacerato, bisogna fermare Salvini.
Quanto abbia inciso la loro campagna sul voto non sono in grado di dirlo, certamente hanno concorso a riportare l’afflusso alle urne ai livelli storici. Non credo che abbiano portato altri voti, ma certamente hanno recuperato quel 30% di elettori di sinistra che nel 2014 erano rimasti a casa.
Nel discorso dopo la vittoria, Bonaccini ha parlato di arroganza in riferimento agli avversari politici. Secondo lei c’è stato un azzardo eccessivo di Salvini in dichiarazioni come “liberiamo l’Emilia-Romagna”?
Sì, certamente ha colpito nel segno. Quando ci sono elezioni comunali nelle quali vincono la Lega o il Movimento 5 Stelle e perde il Partito Democratico ci sono possono essere tanti fattori locali che sono oscillanti in questo periodo di incertezza degli schieramenti politici. Su scala regionale, però, l’entrata a gamba tesa di Salvini ha irritato molti da diversi punti di vista, a cominciare dall’aver spostato la campagna su una dimensione nazionale. È vero che il discorso del buon governo non funziona completamente: un cittadino può sempre pensare che si può stare meglio, ma un cittadino emiliano non fa il paragone tra come si sta in Emilia-Romagna e come si sta in Basilicata, ma fa il paragone tra come si sta e come si potrebbe stare. Avendo Salvini spostato il piano su una dimensione nazionale con un atteggiamento così violentemente polemico e con questa arroganza ha certamente irrigidito molti. Il discorso che ha portato avanti la candidata Borgonzoni nell’ultima settimana a proposito della sanità come in Lombardia ha spaventato molti, perché la sanità emiliana potrebbe essere migliore per un emiliano, che è abituato bene, ma è certamente incomparabile rispetto a quella a quella lombarda: il timore della privatizzazione, il timore di una imprenditoria selvaggia sui servizi essenziali.
Tutto questo ha portato ad un irrigidimento. Salvini, spostando la campagna elettorale in Romagna sul piano nazionale, ha spostato fuori asse la grande questione del governo locale. Noi da molto tempo assistiamo ad un assalto ai poteri locali e ad uno svuotamento delle Regioni, ma questo pure ha spaventato. Non si possono annientare gli organi del governo locale, quella democrazia dei corpi intermedi sulla quale è fondato il costrutto costituzionale che non poteva essere saltato così a piè pari.
Foto dalla pagina Facebook del segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti