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“Contro la pazzia del capitalismo finanziarizzato”, intervista all’economista Ann Pettifor

Ann Pettifor e il Green New Deal

«Il Green New Deal è la risposta alla pazzia del capitalismo finanziarizzato». E’ la tesi dell’economista britannica Ann Pettifor, co-autrice nel 2008 del primo progetto di transizione ecologica. Un progetto che richiede il cambiamento dell’attuale sistema monetario e finanziario. Anna Pettifor è direttrice di PRIME, un pensatoio di macroeconomisti keynesiani che sostengono il ritorno ad un ruolo positivo del pubblico rispetto allo strapotere attuale del privato. “The Case for the Green New Deal” è il titolo del suo ultimo libro non ancora tradotto in italiano. Del progetto europeo di Green Deal, l’economista britannica dice che è poco ambizioso e con scarse risorse. Ann Pettifor nei giorni scorsi è stata ospite di un incontro alla Fondazione Feltrinelli di Milano insieme al professor Luca Fantacci, storico dell’economia e co-direttore dell’Osservatorio sulle nuove monete dell’università Bocconi. Memos in quell’occasione ha intervistato l’economista britannica.

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– Professoressa Ann Pettifor, come va l’economia globale?

«L’economia globale è molto instabile e squilibrata.

Lo squilibrio è determinato dal fatto che c’è più indebitamento rispetto al reddito.

Ci sono disuguaglianze molto grandi che creano delle tensioni, sia economiche che politiche. Sono tensioni che alla fine porteranno ad un crollo. E’ solo una questione di tempo, purtroppo.

Se fossi brava e intelligente potrei dire quando ci sarà questa implosione. Invece, non sono in grado di farlo.

Bisogna vedere quale sarà il fattore scatenante la crisi, quale sarà il punto di rottura. Una catastrofe ecologica, come quella in Australia? Oppure una guerra? Una guerra commerciale, con tensioni e sanzioni? Pensiamo a ciò che è accaduto qualche settimana fa (tra Stati Uniti e Iran, ndr): un tweet e poi una quasi-guerra.

Potrebbe poi succedere qualcosa nel settore finanziario, un qualcosa capace di causare il crollo. Non so cosa sarà, ma comunque un crollo ci sarà».

– Che cosa ha provocato il cambiamento climatico? E’ colpa di un cattivo funzionamento del sistema capitalistico?

«Il modo in cui il capitalismo attuale è strutturato è quello di un capitalismo finanziarizzato. Questo tipo di capitalismo è responsabile della creazione di grandissimi volumi di credito. Un credito che naturalmente diventa poi anche un debito.

E’ un credito che è stato creato dalle banche commerciali, ma soprattutto dal sistema bancario-ombra, lo shadow banking, un sistema bancario che sta oltre le norme.

Il credito così creato viene poi usato per alimentare i consumi e la produzione. A loro volta il consumo e la produzione fanno aumentare ancor di più le emissioni inquinanti.

C’è una connessione, un collegamento tra un capitalismo finanziarizzato e la creazione di credito non regolata.

Dobbiamo capire queste connessioni tra un eccesso di consumo, un eccesso di produzione e le emissioni inquinanti. Purtroppo, molti green activists si concentrano solo sul prodotto finale, cioè sulle emissioni inquinanti oppure solo sul consumo e la produzione. Dobbiamo, invece, concentrarci su come tale consumo viene alimentato.

Quando ero una ragazza, molto tempo fa, non era possibile entrare in un negozio e usare una carta di credito oppure usare un computer per fare acquisti. Bisognava risparmiare per aver abbastanza soldi, lavorare molto.

Adesso, molto semplicemente la banca ti fa credito senza grossi sforzi. Questo capitalismo finanziarizzato ha un ruolo nell’alimentare il consumo e la produzione e quindi negli effetti causati dalle emissioni serra».

– Professoressa Pettifor, per combattere il cambiamento climatico è necessaria una critica del sistema capitalistico?

«Personalmente, non sarei critica solo per il gusto di esserlo.

Io, in realtà, traggo benefici dal sistema capitalistico.

Il problema è che si tratta di un sistema non regolato, normato.

Noi possiamo vivere in un sistema capitalistico, ma non in un sistema che non è gestito. E’ un po’ come chiedere a Tim Cook di lasciare la gestione delle sue aziende alle forze di mercato. E’ impensabile che Tim Cook non gestisca la sua Apple!

Ciononostante, il nostro governo dice che non gestirà i mercati finanziari capitalistici, sostiene che basta dare fiducia alla mano invisibile, al mercato capace di gestire tutto.

E’ una pazzia, ed è al centro dei nostri problemi.

Non dico che dovremmo abolire il capitalismo. Dovremmo solo mantenere il capitalismo gestito, regolato. E dovremmo gestirlo nell’interesse di tutti noi, non nell’interesse dell’1%».

– Professoressa Ann Pettifor, gestire il capitalismo significa anche mettere le mani sull’attuale sistema monetario?

«Il mio punto di vista è che la banca centrale e il ministero del tesoro dovrebbero gestire la creazione di credito.

Attualmente, invece, il credito può essere creato anche attraverso la speculazione che – come si sa – è un po’ come scommettere, fare del gioco d’azzardo. Sono attività rischiose.

Prima della finanziarizzazione, della deregulation della fine degli anni ‘70, se si voleva creare credito bisognava dimostrare che quel credito sarebbe stato usato per scopi produttivi, che avrebbero portato ad un reddito necessario poi per rimborsare quel credito.

Oggi, invece, si può creare il credito senza preoccuparsi dove andrà a finire, se verrà usato o meno per scommettere. Certo, se venisse utilizzato per il gioco d’azzardo o per giocare alla lotteria o ai cavalli, potrebbe anche far vincere un sacco di soldi. Ma questa non è un’attività produttiva! Non è gestita! Quindi, semplicemente, per me la gestione del sistema monetario vuol dire gestione della creazione del credito.

Ma c’è un’altra forma di gestione che è ancora più importante. E’ quella dei flussi di capitali attraverso le frontiere, del denaro che transita dentro e fuori un paese. I flussi possono creare grande instabilità, possono cambiare il valore della valuta, possono avere effetti sui prezzi, e su tutti noi. Quindi bisogna gestire questi flussi di capitale tra le frontiere, non dico controllarli, ma gestirli».

– Che cos’è il Green New Deal (GND), professoressa Ann Pettifor? Come si può definirlo e qual è la relazione con il suo progenitore, il New Deal rooseveltiano?

«Sono veramente felice per questa domanda, perché il Green New Deal ha una forte relazione con quanto Roosevelt fece nel momento in cui diventò presidente degli Stati Uniti. Roosevelt dovette affrontare una crisi ambientale, come quella provocata dalla Dust Bowl, le tempeste di sabbia che colpirono gli Usa negli anni Trenta. Il terreno dei campi era stato eroso, l’agricoltura era difficile da praticare. Ci fu una crisi ecologica ed economica che andava gestita.

La sera in cui fu nominato presidente, Roosevelt decise che avrebbe abolito il sistema monetario allora vigente, il Gold Standard. Che cosa vuol dire? Voleva dire che il presidente avrebbe preso in carica la gestione del sistema finanziario, togliendola a Wall Street e affidandola al governo eletto democraticamente.

Roosevelt mise il governo nel sedile del guidatore e il sistema finanziario nel sedile posteriore. Fu la prima cosa che fece.

Il lunedì mattina, dopo essere stato nominato, chiuse le banche e chiese la restituzione dell’oro detenuto nei loro forzieri. Di fatto smantellò il Gold Standard.

Il Gold Standard era un sistema libero, c’era solo la mano invisibile a controllarne il funzionamento. Il mercato libero gestiva tutto. Ma era un sistema che portava alla deflazione, alla disoccupazione e aveva reso molto difficile, per i governi, affrontare la crisi ecologica. Roosevelt prendendo in carico la gestione del sistema finanziario, portandola nelle mani del governo, riuscì a mobilitare i finanziamenti necessari ad affrontare la crisi ecologica, ma anche a stimolare l’occupazione e a rimettere in sesto l’economia americana. E’ per questa ragione che Roosevelt, tuttora, è il presidente più popolare negli Stati Uniti.

E’ questo il parallelismo che noi abbiamo imparato. Per affrontare il problema ecologico di oggi dobbiamo gestire la finanza. E dobbiamo farlo su una scala particolare: lo stato deve intervenire e il governo deve farsi carico della gestione del sistema finanziario che non dovrebbe stare nelle mani di Francoforte o della City di Londra o di Wall Street. Questa è la cosa più importante che noi diciamo».

– Professoressa Ann Pettifor, Green New Deal (GND) vuol dire grosse quantità di capitali da trovare? Vuol dire cambiamenti nei comportamenti delle persone?

«Fino ad ora i verdi hanno parlato di cambiamenti nei comportamenti, come riciclare, riutilizzare. Sono dei cambiamenti a livello micro. Il GND, invece, parla di macro-cambiamenti e dice che abbiamo bisogno di cambiamenti strutturali, di sistema. Non possiamo pensare di difenderci dalla crisi ecologica senza che ci sia un cambiamento del sistema. Questa è la sfida.
I verdi in passato si concentravano sul livello micro. Non vedevano le implicazioni più generali. Ma il problema è il seguente: è il settore finanziario a creare quel credito che poi alimenta la produzione e conseguentemente le emissioni inquinanti.

Dobbiamo avere una visione più generale.

Ad esempio, guardiamo l’esperienza dei gilet gialli in Francia. Sono persone che vivono nelle aree rurali e non hanno un sistema di trasporto alternativo ai propri furgoncini. Che cosa è successo? Il governo francese ha voluto tassare questi furgoncini, ha voluto che fossero loro a pagare per la crisi ecologica. Ma loro non hanno scelta, non hanno alternativa. Cosa possono fare? Lo stato francese dovrebbe creare un sistema di trasporto alternativo e solo in seguito chiedere ai cittadini di pagare tasse più alte se non lo vogliono usare. Tassare invece queste persone, senza dare loro un’alternativa, mi sembra crudele e sbagliato ed è giusto che la gente si ribelli.

Abbiamo bisogno di un sistema di trasporto alternativo, un sistema energetico alternativo e anche un utilizzo della terra diverso. Questi sono i grandi cambiamenti che ci servono, se vogliamo sopravvivere come civiltà. E ciò ovviamente richiede un intervento dello stato che produce benefici anche per il settore privato. Non penso ad un sistema di tipo sovietico. E’ un’economia mista in cui però lo stato svolge un ruolo adeguato per offrire alternative, in modo che anche i cittadini possano comportarsi diversamente».

– Per concludere, professoressa Ann Pettifor, come giudica il Green Deal presentato nei giorni scorsi dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen?

«Trovo che l’espressione Green New Deal sia molto sexy per molti. Tutti vogliono avere questa etichetta perché li fa sentire bene. Però, quello europeo si chiama Green Deal e non Green New Deal. La signora Von der Leyen non sta copiando Roosevelt, perché – come dicevo prima – Roosevelt ha trasformato il sistema finanziario. Von der Leyen non vuole cambiare il sistema finanziario, anzi vuole che rimanga così. Quindi il problema del Green Deal europeo è che non ha ambizione, non comprende la scala, la portata di ciò che è necessario fare se vogliamo sopravvivere.

Non possiamo tollerare il fatto che i mercati prendano grandi decisioni sul costo del denaro, su quanto denaro possiamo avere, su dove possiamo investire. Pensiamo, ad esempio, al ruolo di Blackrock (fondo di investimento speculativo globale, ndr). Si preoccupano solo del loro interesse e non dell’interesse pubblico.

La signora Von der Leyen vuole mantenere il sistema attuale, a lei va bene far felice Blackrock. Io voglio, invece, che i nostri risparmi siano usati per l’interesse pubblico e non per l’interesse privato del sistema finanziario.

Il Green Deal europeo non affronta tutto questo. Secondo me sono soltanto chiacchiere, è solo un parlare, non c’è una vera azione. Tutti i soldi che Von der Leyen propone sono veramente pochi. Sembrano molti 1,2 trilioni di dollari, la cifra pensata per dieci anni. Certo, se li vincessi alla lotteria sarebbero molti. Ma posso dire che ogni anno l’Unione europea genera redditi per 12-13 trilioni di euro. Quindi 1,2 è veramente poco! Ci vuole invece un vero finanziamento, vogliamo che lo stato gestisca i finanziamenti e non giochi con queste noccioline».

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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    1) L’ultimo giorno dell’Unrwa. L’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi costretta a lasciare i suoi uffici di Gerusalemme. A rischio tutto il sistema di aiuti verso Gaza e la Cisgiordania. (Paolo Pezzati - Oxfam Italia) 2) Germania, cade il tabù dell’accordo con l’estrema destra. Angela Merkel rompe il silenzio e critica la decisione della CDU di aprire ai voti dell’Afd. Anche la società civile si mobilita. (Alessandro Ricci) 3) Stati Uniti, prove di opposizione. Mentre Trump prosegue a colpi di decreti, i democratici provano a trovare il modo per opporsi. (Roberto Festa) 4) Il ritorno di Guantanamo. La Casa Bianca vuole creare un centro per migranti nello stesso luogo dove per oltre vent’anni ha detenuto e torturato persone accusate di terrorismo. Con un costo umano ed economico altissimo. (Riccardo Noury - Amnesty International) 5) Argentina. Milei annuncia che toglierà il femminicidio dal codice penale. Femministe e società civile si attivano per rispondere al perenne attacco del presidente ai diritti. (Alberta Bottini - Universidad Nacional di Quilmes) 6) World Music. Da Città del Messico, “Super Disco Pirata”. Quando la pirateria dà vita ad un circolo virtuoso. (Marcello Lorrai)

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