Con l’arrivo del 2020 ripartono gli esordi di nuove serie TV molto attese dal grande pubblico. L’ultima in ordine di tempo, molto amata dal grande pubblico e pronta a concludersi, in lizza per diventare una delle migliori serie tv di gennaio 2020 è BoJack Horseman, fortunata serie animata targata Netflix.
Nonostante molti esempi pronti a smentire il luogo comune, si fa sempre un po’ fatica a sganciare le serie animate dall’idea di “prodotto per bambini”. Pensate non solo alle censure subite sistematicamente dai cartoni animati giapponesi, ma anche al fraintendimento tutto italiano di un fenomeno come I Simpson, che da noi è ancora programmato nella fascia pomeridiana tradizionalmente riservata ai ragazzini.
Eppure negli ultimi anni proprio l’animazione televisiva si sta dimostrando un terreno di sperimentazione ricchissimo e appassionante: vale sia per quella per bambini (da Adventure Time a Steven Universe) come per quella per adulti. C’è un nome, qui, da tenere a mente, ed è quello di Raphael Bob-Waksberg. Californiano, classe 1984, forse vi dice qualcosa il titolo di una serie da lui creata, BoJack Horseman, di cui il 31 gennaio arrivano su Netflix gli ultimissimi episodi.
BoJack Horseman è la storia di un cavallo. Un cavallo antropomorfo, che vive, insieme a uomini e ad altri animali antropomorfi, a Hollywoo. Che sarebbe Hollywood, certo, ma la d finale è caduta dalla celebre collina schiantandosi come tanti sogni di successo. BoJack, tanti anni fa, era un attore famoso: faceva il cavallo in una sitcom, Horsin’ Around, di quelle con le risate registrate (se cercate su Netflix trovate pure quella).
Oggi è una ex star mezza disoccupata, alcolizzata, depressa, perseguitata da svariati fantasmi, e con un pozzo senza fondo di traumi mai risolti al posto del cuore. Attorno a lui, la gatta-manager Princess Carolyn, la sua giovane biografa Diane, il cagnolone Mr. Peanutbutter, il bamboccione Todd, e una miriade d’altri personaggi, spesso inventati, qualche volta copiati dalla realtà.
BoJack Horseman, approdato sulla piattaforma streaming nel 2014 e ora sul punto di concludersi dopo sei stagioni, è diventato, puntata dopo puntata, qualcosa che inizialmente nessuno s’aspettava: è un ritratto del mondo dello showbusiness, certo, trasfigurato nel tratto surreale dell’illustratrice Lisa Hanawalt, virato qualche volta al grottesco, ma straordinariamente preciso nell’andare ad affondare il coltello nelle ferite della Hollywood contemporanea. Ma è anche, proprio perché parla, attraverso i suoi personaggi disegnati, di una società ossessionata dall’immagine, uno specchio dell’Occidente contemporaneo, e dunque di tutti noi.
E, nonostante l’umorismo che a tratti straborda portandoci a incontrollabili risate, è una delle serie più acute e puntuali nella rappresentazione della depressione, della malattia mentale, del trauma – e, più in generale, ha un’incredibile capacità, forse garantita proprio dall’animazione, di arrivare al cuore di questioni umane profonde e complesse, quelle da cui tutti quotidianamente c’impegniamo a distogliere lo sguardo perché fanno troppo male.
Oltre a BoJack Horseman, Bob-Waksberg è co-autore di altre due serie, uscite nel 2019. La prima è Tuca e Bertie, creata da Lisa Hanawalt, la disegnatrice di BoJack, appunto, ed è sempre su Netflix: racconta le vicissitudini di due uccelli-femmina, un tucano chiassoso e spensierato e un usignolo ansioso e sognatore. La seconda è Undone, sta su Amazon Prime Video, e la co-ideatrice è Kate Purdy, una sceneggiatrice di BoJack: qua niente animali, ma i protagonisti umani sono ri-disegnati al rotoscopio, la tecnica d’animazione che permette di ridipingere le riprese effettuate dal vero.
Undone racconta con squarci visionari e una spruzzata di fantascienza filosofica una faticosa elaborazione del lutto e la difficoltà di venire a patti con la propria memoria. Insomma, è come se l’animazione, così straordinariamente libera d’immaginare, raffigurare e fantasticare, fosse la tecnica migliore per indagarci nel profondo, offrendoci storie universali di crisi esistenziali, tra incontenibili risate e immense verità.
Gli ultimi episodi di BoJack Horseman saranno disponibili sul Netflix dal 31 gennaio 2020.
Star Trek: Picard al via su Amazon Prime Video
«Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all’esplorazione di nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima».
L’avrete sicuramente riconosciuta: è l’introduzione agli episodi della serie classica di Star Trek, e contiene da sola quasi tutto quello che serve sapere su uno dei mondi narrativi più importanti di sempre. C’è lo spazio e c’è la Frontiera, dunque la fantascienza e il western.
L’uomo che inventò Star Trek, Gene Roddenberry, aveva scritto western per la tv, prima di avere la possibilità di proporre all’NBC uno show ambientato su un’astronave, quindi non ci stupisce trovare quest’ispirazione in una storia che unisce lo spirito d’avventura del genere più a stelle e strisce di tutti con la razionalità e lo spirito illuminista della migliore fiction speculativa.
Era il 1966, la corsa allo spazio era all’apice, così come la Guerra fredda: Roddenberry immaginò un futuro in cui non solo fossero stati superati i conflitti nazionali, etnici e di genere, ma anche quelli tra la maggior parte delle specie extraterrestri, e l’umanità, insieme a una prodigiosa Federazione di pianeti alieni, potesse dedicarsi all’espansione della conoscenza.
54 anni dopo, la Guerra fredda non c’è più, l’esplorazione del cosmo sta tornando agli onori delle cronache dopo un lunghissimo periodo di stop, e poche cose sembrano impossibili quanto una Federazione dei pianeti uniti: «Non potrebbe esserci un momento migliore per un ritorno di Star Trek» dichiara allora sir Patrick Stewart, che infatti si prepara a re-indossare, dopo 18 anni, le vesti del capitano Jean-Luc Picard. Ovvero il protagonista di Star Trek: The Next Generation, spinoff della serie classica creato sempre da Gene Roddenberry nel 1987 e andato in onda fino al 1994, e di svariati film del franchise (l’ultimo era stato Star Trek: La nemesi nel 2002).
Il personaggio di Jean-Luc Picard è probabilmente quello che, da solo, più incarna lo spirito di Star Trek, e ora, dal 24 gennaio, sarà titolare di una nuova serie, Star Trek: Picard, appunto, che sarà disponibile, con un episodio a settimana, ogni venerdì su Amazon Prime Video.
A realizzarla ci sono alcune delle nuove leve che, a partire dai film più recenti targati J.J. Abrams, stanno aggiungendo tasselli all’universo roddenberryano, producendo anche un’altra nuova serie, Star Trek: Discovery (che, invece, è distribuita in Italia da Netflix). Ma c’è anche l’acclamato scrittore Michael Chabon, autore premio Pulitzer e trekkie di lunga data.
Torneranno anche molti volti di The Next Generation noti e amati dai fan, in una storia che ritrova Picard vent’anni dopo i catastrofici eventi di La nemesi, e sembra un uomo molto diverso da come ce lo ricordiamo. Sir Patrick Stewart lo scorso autunno è stato ospite d’onore al Lucca Comics and Games, accolto dai fan con un affetto straordinario, e ha ribadito la necessità, in questi tempi cupi e conflittuali, di storie come quelle di Roddenberry: in cui trionfano razionalità e compassione, desiderio di conoscere l’universo, gli altri e se stessi, di comprendere le motivazioni, le culture e le vicende di chiunque ci sembri “alieno”, e di collaborare, tutti, a un grande sforzo comune per il progresso umano. È naturale rispondere con un augurio che ruba le parole al classico saluto vulcaniano: lunga vita e prosperità.
Foto dalla pagina ufficiale di Star Trek su Facebook
Le serie TV da non perdere a gennaio 2020: The New Pope
The New Pope: il ritorno dei papi di Paolo Sorrentino. L’estate scorsa, sulla piattaforma streaming Amazon Prime Video, è stata pubblicata la prima serie di Nicolas Winding Refn, il regista danese autore di Drive, Solo Dio perdona, The Neon Demon. La serie si intitola Top Old to Die Young, due sue puntate erano state presentate al festival di Cannes, il protagonista è Miles Teller (il giovane batterista di Whiplash) nei panni di un poliziotto corrotto che, in cerca di redenzione, insegue e punisce violentemente i peggiori criminali anche al di fuori della legalità.
Lo scorso 10 gennaio, su Sky Atlantic e Sky Cinema Uno, è cominciata The New Pope, creata e diretta da Paolo Sorrentino: si tratta del sequel (o della seconda stagione, con un titolo lievemente diverso) di The Young Pope, co-produzione tra Sky, HBO e Canal+ che aveva debuttato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2017.
Papa Pio XIII, al secolo Lenny Belardo, primo papa americano nella Storia fittizia immaginata da Sorrentino, era il protagonista di The Young Pope: interpretato da un Jude Law in stato di grazia, era imprevedibile, iper conservatore e manipolatore, e alla fine della stagione, in seguito a un problema cardiaco, finiva in coma.
The New Pope si apre così col Vaticano in subbuglio, e la disperata necessità di trovare un nuovo pontefice: il furbo e potente cardinale Voiello (uno straordinario Silvio Orlando che, a suo modo, è il vero protagonista della serie) fa eleggere sir John Brannox, un aristocratico inglese, che sale al soglio pontificio col nome di Giovanni Paolo III e ha il volto enigmatico del grande John Malkovich.
Il nuovo papa pare l’esatto opposto del giovane papa – è moderato e riflessivo laddove l’altro era estremista e impulsivo – ma nasconde comunque dei segreti; inoltre, la particolare situazione a San Pietro fa sì che si creino diverse fazioni di fedeli sempre più simili a sette…
Perché abbiamo accostato Too Old to Die Young e The New Pope? Certo, in entrambe si parla di peccato, fede e redenzione, e gli intrighi del sottobosco criminale di Los Angeles e del New Mexico potrebbero fare eco a quelli cardinalizi della Città del Vaticano, quanto meno nella versione pop immaginata da Sorrentino. Ma Too Old to Die Young è un crime drama serissimo e rarefatto, con improvvise esplosioni di violenza a spezzare un ritmo ipnotico, mentre The New Pope ha un’irresistibile vena di commedia satirica, accanto al grottesco tipicamente sorrentiniano, e in questa nuova stagione, grazie anche all’arrivo in sceneggiatura del veterano del piccolo schermo italiano Stefano Bises, le trame si fanno più serrate.
Too Old to Die Young, poi, è una serie pensata per lo streaming, e Nicolas Winding Refn ha dichiarato di essere stato affascinato proprio da questa nuova modalità di diffusione e fruizione: per questo la sua serie è così “lenta” e ipnotica, perché vuole assomigliare a un flusso dove lo spettatore può entrare o uscire in ogni momento.
The New Pope è invece tv prestigiosa a tutti gli effetti: vedremo due puntate a settimana su Sky per i prossimi due mesi o poco meno. Una cosa in comune però ce l’hanno, e non è solo la predilezione per le luci al neon di entrambi i cineasti (anche se c’entra): entrambe sono l’espansione seriale di un brand, di un marchio cinematografico. Promettono, e mantengono, prima di tutto un’esperienza: quella, unica e inconfondibile, offerta dallo stile del proprio regista. Too Old to Die Young è puro Nicolas Winding Refn, mentre The New Pope è Sorrentino distillato: a loro modo, dunque, entrambe esplorano nuovi confini della narrazione audiovisiva, assottigliando sempre più il limite tra piccolo e grande schermo.
A QUESTO INDIRIZZO POTETE RECUPERARE LE SERIE TV DI DICEMBRE 2019.
Foto dalla pagina ufficiale di The New Pope su Facebook