“Quando all’inizio discutevamo con Toni se imbarcarci in questa avventura, quello che mi dicevo era che era giusto che questa storia fosse raccontata anche dal punto di vista del protagonista, dei protagonisti, dopo essere stata raccontata soprattutto da altri, magistrati, pentiti, alcuni giornalisti”: nel pomeriggio di domenica, giornata conclusiva di Bellissima, fiera dell’editoria e della cultura indipendente, Girolamo De Michele, curatore di Storia di un comunista di Toni Negri, ha introdotto così la presentazione del libro – con la partecipazione di Negri e di Gad Lerner – richiamando la normalità di quella storia: “Che va raccontata innanzitutto per dire che in questa storia non c’erano ‘mostri’, non c’erano ‘alieni’, che era una storia di studenti, di operai, di militanti, tutta gente normale, come normale negli anni sessanta e settanta era pensare che il mondo poteva essere cambiato, e che si poteva prenderlo in mano per cambiarlo”.
A seguire in un clima molto attento quasi due ore di discussione, al Palazzo del ghiaccio di Milano, una platea di quattrocento persone, con rappresentate diverse generazioni.
“Con questo libro – ha iniziato Negri – ho l’impressione di aver tolto un blocco alla possibilità di andare oltre alla definizione di quegli anni come ‘anni di piombo’: anni invece pieni di passione che bisogna smettere di rappresentare in nero, quando il loro colore è stato il rosso, in un’epica che va restituita alla memoria di tutti”. Negri ha toccato anche il tema della violenza: “La violenza è stata qualcosa che ci ha accompagnato ma come violenza operaia, come contropotere, a cominciare dallo sciopero. La violenza non può essere uccidere, ma può essere esercitare la forza di un’idea, di una capacità di organizzazione”. “Siamo stati sconfitti – ha detto poi Negri – ma non siamo stati vinti, abbiamo continuato e continuiamo a costruire lotte, a livello italiano ed europeo”.
“La violenza – ha detto invece Lerner – è stata una delle cause della sconfitta, e non solo della sconfitta personale, anche con la carcerazione, di alcuni, ma di una sconfitta sociale generalizzata”. Raccontando la storia di un docente universitario e militante formatosi in contatto con alcune delle più brillanti intelligenze degli anni cinquanta e sessanta, da Chabod a Garin a Bobbio, da Panzieri a Tronti ad Asor Rosa ad Alquati, il libro secondo Lerner evidenzia la imbarazzante preclusione italiana a ricostruire questa storia, “che fa parte a pieno titolo della cultura politica di questo Paese”, senza ridurla a demonizzazione del “cattivo maestro”: la recensione del libro su Repubblica è stata “una stroncatura a priori, appunto utilizzando questo potentissimo stereotipo del ‘cattivo maestro’”. “Il libro ricostruisce con precisione la battaglia politica che voi avete condotto nei confronti di chi avviava la pratica della lotta armata – ha continuato Lerner – ma non possiamo ridurre alla categoria di ‘violenza operaia’ il conflitto: dobbiamo sì uscire dagli stereotipi sugli anni settanta, ma anche Toni deve aiutarci ad uscirne”.
“Ringrazio Gad – ha detto poi De Michele – per aver apprezzato la precisione con cui nel libro abbiamo puntualizzato gli elementi di critica e di rottura con altre pratiche politiche: cosa che per esempio abbiamo fatto andando a rileggere, e citando alla lettera, l’articolo di Rosso di critica alle Brigate Rosse scritto prima ma uscito proprio nei giorni del sequestro Moro”.
Rievocando le trasformazioni del mondo della produzione che l’operaismo aveva cominciato a cogliere nella prima metà degli anni settanta, vedendole come risposta alle lotte operaie, Negri si è chiesto: “capite cosa sarebbe stato se il movimento operaio avesse compreso questo passaggio? Un movimento operaio come quello italiano, cioè quella macchina formidabile che era il Partito Comunista con i suoi sindacati! Perché non l’hanno voluto capire? Perché ha vinto quel riformismo becero che li ha distrutti, visto che non ci sono più? Gad dice che c’era da parte nostra insurrezionalismo, non so se sia vero, ma certo alcuni miei testi lo possono confermare, ed è una critica che posso accettare: ma c’era anche un’altra cosa, la tensione a cambiare la politica, e su questa tensione si scaricava l’incredibile differenza tra quello che per noi era vero e un insieme di falsità, di blocchi e di repressione. Vengo da Padova, e Padova è stato il centro della repressione fascista organizzata dallo Stato: le bombe di Piazza Fontana sono state una cosa tremenda per quella generazione”.
Toccando l’attualità, Lerner ha chiesto a Negri che rapporto abbia con organizzazioni come Syriza e Podemos, e come veda la loro scelta di una via parlamentare. “Sono rivoluzionari – ha risposto Negri – e non vogliono questo regime europeo: andare alle elezioni non è una cosa cattiva in sé. Il problema è costruire una forza capace di rompere le istituzioni in cui siamo, una forza legata a contropoteri sociali. Il tentativo di Podemos è questo: essere sul bordo, essere al governo ma mantenere una formidabile capacità di mobilitazione di classe. Tutta la nostra ricerca politica è stata su come far funzionare i movimenti, l’organizzazione del desiderio sociale di liberazione, come forza, come politica: è questa l’autonomia. E’ qualcosa che oggi vive nei movimenti dappertutto: e presto vivrà anche in Italia”.
Qui il grosso della presentazione a Bellissima di Storia di un comunista.