L’accordo Ue-Turchia per la gestione dei profughi è concluso: tra due giorni si parte. Non si sa come ma si parte con un piano molto complicato. Chi arriverà nelle isole greche sarà registrato, ma poi i migranti economici saranno rispediti subito indietro. Chi farà appello contro il respingimento, aspetterà un responso della corte per chissà quanto. Il risultato sarà che la maggior parte dei siriani sarà rimandata indietro da dove è venuta, rischiando la morte in Turchia.
Da qui, non si sa ancora come, verranno scelti 72 mila siriani che, loro sì, avranno il diritto di avere una protezione in Europa. Per aiutare la Grecia, soffocata ancora più che in passato dalla presenza dei migranti, nonché snodo fondamentale di arrivi e partenze dei nuovi migranti, l’Europa dovrà trovare in due settimane (i primi rimpatri si faranno dal 4 aprile), 4 mila persone tra giudici, avvocati, esperti di frontiere perché possano andare nelle isole greche per dare una mano.
E perché tutto questo piano bizantino parta, abbiamo accettato che i turchi vengano da noi senza visti, da giugno, e simbolicamente si riapra il negoziato d’adesione all’Unione europea.
E’ difficile rallegrarsi di questo piano, non solo perché è difficile immaginare che possa funzionare, o che possa davvero scoraggiare i 3 milioni di siriani già presenti in Turchia e pronti a tutto pur di avere una vita migliore. Ma soprattutto, perché questo accordo sancisce la fine dei nostri valori europei: quelli della solidarietà e della protezione appunto. Abbiamo delegato a un Paese terzo, non molto sicuro, la nostra politica di asilo, incapaci di assumere le nostre responsabilità. E niente ci assicura che, da domani, i flussi non si sposteranno verso la Libia, Paese allo sbando, dove ci sono tre governi e nessuno con il quale intavolare un negoziato. E allora se da domani i siriani arrivassero dalla Libia, quindi in Italia, che facciamo?