“Davanti al Parlamento Europeo ci presenteremo tutte unite- tutti uniti- con il nostro dolore e la nostra determinazione, per chiedere giustizia con tutte le nostre forze. Per chiedere che le istituzioni ci sostengano, per dire no agli abusi in divisa che i nostri cari hanno subito, perdendo la vita”.
Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto in seguito a un arresto a Varese nel 2008, a Radio Popolare racconta della prima udienza al Parlamento europeo dei familiari di vittime di abusi commessi da forze di polizia.
Parla a nome di tutti quelli che saranno con lei a Bruxelles: Ilaria Cucchi (sorella di Stefano morto nel 2009 a Roma durante la detenzione nel reparto protetto dell’ospedale Pertini di Roma),Claudia Budroni (sorella di Dino, ucciso con un colpo di pistola sul raccordo anulare di Roma nel 2011), Grazia Serra (nipote di Franco Mastrogiovanni, morto ad agosto 2009 nel reparto di psichiatria di Vallo della Lucania dopo essere stato legato per 80 ad una branda), Domenica Ferrulli (figlia di Michele, morto durante un fermo di polizia nel 2011 a Milano), Andrea Magherini (fratello di Riccardo, morto a Firenze nel 2014 durante un fermo dei carabinieri), Rudra Bianzino ( figlio di Aldo, morto nel carcere di Capanne, a Perugia) e Osvaldo Casalnuovo (padre di Massimo, morto ad un posto di blocco dei carabinieri nel 2011).
“Al Parlamento europeo stiamo facendo un cosa importante”, dice Ilaria Cucchi spiegando l’iniziativa, promossa da ACAD, l’Associazione Contro gli Abusi in Divisa insieme i familiari delle vittime e l’eurodeputata Eleonora Forenza di GUE/NG, gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica al Parlamento europeo.
“La stiamo facendo- continua Cucchi- per tutte le persone che non hanno voce. C’è da ritenersi fortunati quando l’opinione pubblica ha un’attenzione per il tuo morto, quando intorno a te tutto ti vuol far capire che il tuo morto non conta nulla, che si può far finta di niente. Questi sono tutti segnali che le nostre famiglie ricevono sempre. Vogliono lasciarci nel silenzio, nell’isolamento”.
Ma il coraggio di donne come Ilaria Cucchi e degli altri familiari ha rotto questo silenzio. Ora portano la loro voce e le loro ragioni al Parlamento Europeo.
L’ACAD anticipa cosi cosa l’associazione accadrà al Parlamento Europeo: “Presenteremo e racconteremo quella che abbiamo definito l’ ‘anomalia Italia’ ovvero il complesso sistema di abusi e coperture che nel nostro Paese costituiscono la piaga della violenza esercitata da chi indossa una divisa dello Stato. Una piaga dalle proporzioni insopportabili, sia sul dato ‘quantitativo’ che ‘qualitativo'”.
‘Quantitativo’ perché il numero di persone uccise o morte in circostanze sospette, per violenza diretta o comportamenti sbagliati da parte delle forze dell’ordine, non ha eguali in Europa.
‘Qualitativo’, invece, perché le coperture politiche, giuridiche e culturali sono ai massimi livelli di allerta democratica: l’Italia ha ratificato nel gennaio del 1989 la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti ma non ha ancora approvato la legge di ratifica,nonostante i richiami ufficiali della Corte di Strasburgo. Un paese in cui esponenti sindacali delle forze dell’ordine applaudono pubblicamente i colleghi condannati per aver commesso violenze e omicidi”.
Per la prima volta tutto questo entrerà nella massima sede europea. L’ACAD “parlerà pubblicamente per voce delle vittime di questi abusi e degli attivisti che da anni presidiamo le aule di tribunale e le piazze affinché nessuno e nessuna possa voltarsi dall’altra parte,affinché ogni abuso non rimanga impunito, non rimanga isolato”.
Resta in questo contesto scandalosamente irrisolta la mancata introduzione in Italia del reato di tortura. Reato che serve ad evitare che la prescrizione breve, prevista per reati meno gravi, lasci sostanzialmente impuniti i responsabili, come è accaduto sinora per i reati commessi durante il G8 di Genova nel 2001, a Bolzaneto o alla scuola Diaz, dove furono commessi pestaggi, violenze, torture.
Accanto a questo tema quello del codice identificativo. Il senatore Luigi Manconi aveva presentato un disegno di legge nel 2014, per introdurre il codice identificativo sulle divise degli appartenenti alle forze di polizia in servizio di ordine pubblico. “Purtoppo tutto è rimandato sine die, -ci dice Manconi- per l’opposizione del Governo e in particolare del Ministro dell’Interno Angelino Alfano“. Introdurre il codice identificativo è importante perché attribuisce responsabilità, contribuendo a distinguere gli operatori che svolgono il proprio lavoro con perizia, da quelli che invece incorrono in abusi e illegalità. Non saremmo i soli in Europa: Spagna, Belgio, Slovenia, Svezia, Polonia, Ungheria, Grecia e Repubblica Ceca hanno da tempo introdotto il codice identificativo.