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Tratto dal podcast
Jack di mar 29/10 (prima parte)
Musica | 2019-10-29
Willie Peyote è stato ospite di Radio Popolare in occasione dell’uscita del suo nuovo album, Iodegrabadile, e nel presentarci dal vivo tre brani contenuti nell’ultimo lavoro ci ha parlato della musica di oggi e delle sue influenze e del suo rapporto con l’impegno e l’informazione nel 2019, senza risparmiare qualche critica ai colleghi che si dimostrano impegnati, anche se spesso si tratta di pura convenienza.
Ecco l’intervista a Willie Peyote trasmessa durante la puntata di Jack del 29 ottobre 2019.
Quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua strada e cosa ti piace di quello che ascolti in giro oggi?
Io credo di aver capito che volevo fare questo nella vita quando non mi annoiavo accompagnando mio padre nei concerti quando ero adolescente e mi davano le mansioni quelle più pacco come scaricare il furgone, portare gli strumenti sul palco, vendere i CD durante il concerto o recuperare le birre per la band. A me piaceva l’atmosfera che c’era nel furgone e in sala prove. Mi divertivo. E quindi ho pensato che se mi divertivo anche nelle parti noiose, forse era meglio che lavorare insomma. Sai quante birre ho regalato in giro fingendo che fossero per la band…
Di quello che gira oggi nell’ambiente del rap, che ormai è amplissimo, ma in generale nella musica in Italia cos’è che ti convince e cos’è che ti convince meno?
È un buon periodo, ci sono tante uscite interessanti a vario titolo. Magari è interessante tutto il disco, magari ci sono solo alcuni pezzi interessanti. O magari è l’idea che c’è dietro al disco ad essere interessante. Ce ne sono molte, devo essere sincero. Tra tutti mi ha molto colpito Massimo Pericolo, lo seguo da vicino come un fan. E poi ci sono diversi dischi che stanno per uscire, quello di Marracash in particolare. Io comunque ascolto un po’ di tutto. Facendo questo mestiere ascoltare tutto è un po’ come fare un corso di aggiornamento costante. Trovo che sia un buon periodo.
Molti tuoi colleghi non si fanno mancare l’occasione di dire di non ascoltare nulla per non essere influenzati. Te invece dici esattamente il contrario, anche perché in realtà il modo in cui tu fai musica o in cui produci musica è comunque molto slegato da quello che esce in Italia. E diciamo che se dobbiamo cercare dell’ispirazione abbiamo un paio di nomi dall’altra parla dell’oceano.
Sicuramente tutto quello che ascolti ti influenza, ma non vedo perché far finta che non sia così. Ascolterai qualcosa che fanno gli altri e verrai comunque influenzato. Tanto vale ascoltarlo di default e partire dal presupposto che di base verrai influenzato. Io ad oggi non credo di correre il rischio di essere influenzato dall’ascolto del disco di Marracash. Posso dire, però, che in effetti ascoltare la trap mi ha cambiato nel modo di scrivere e di metriche utilizzate, anche se parlare di metriche è un po’ troppo anni ’90. Mi sono fatto influenzare nel senso che ho studiato quella cosa anche perché bisogna stare sul pezzo. I tempi cambiano e non avrebbe senso fare rap come si faceva vent’anni fa.
Iodegradabile di Willie Peyote è in uscita, lo dicevamo all’inizio, ed è un disco che ha parecchia freschezza dentro. Che periodo fotografa?
Il periodo in cui è stato scritto è già cambiato per alcuni versi. È cambiato il contesto. C’è un pezzo che parla del governo del cambiamento, ma nel frattempo il governo è caduto. L’elettorato è rimasto, quindi il brano risulta attuale.
Il governo era più degradabile del disco.
Decisamente. E sembrava che ce lo saremmo tenuto per 30 anni, “o mio dio non ce lo toglieremo più dai coglioni” e invece in agosto è caduto. Il problema è che cambiamo per non cambiare mai, è molto gattopardesca la società. È sempre tutto attuale perchè in fondo non cambiamo mai abbastanza da diventare qualcos’altro.
Recentemente ci hai raccontato che la tua modalità di scrittura non prevedeva la scrittura. Ora, invece, il fatto di doverti mettere lì a scrivere quanto influisce sul risultato?
Io non scrivo tutto. L’inizio della scrittura è a mente, però sicuramente trovare scritte le cose mi velocizza il processo creativo. Prima era molto più in freestyle, pur non essendo un vero freestyle. Era un po’ come una filastrocca perchè ogni volta ripetevo la frase prima per aggiungere la seconda strofa e poi la la terza. Però poi i pezzi li ricordavo molto meglio di quanto li ricordi oggi. Il modo di scrivere è cambiato, non tanti però per le modalità di scrittura, quanto per la tipologia di parole che vengono utilizzate. Una volta sentivo un disco di Fabri Fibra, credo fosse appena uscito Tradimento, e quella volta disse “più si allarga il tuo pubblico, meno parole puoi usare”. È una frase molto sintetica, ma che spiega benissimo il concetto che sto cercando di spiegare.
In base all’interlocutore che hai davanti cambia anche il registro linguistico. Più passa il tempo e si allarga il pubblico con cui ho a che fare e più devo fare attenzione a questa cosa. È un discorso di farsi capire. Uso anche meno parole di una volta, quindi sceglierle è più importante. Prima scrivevo molto più di pancia, ora c’è molto più cervello in quello che scrivo.
Nel pezzo Mango c’è anche la tua visione dei media. Come ti approcci all’informazione nel 2019?
Io faccio fatica, è quello che cerco di raccontare. Capisco la confusione che c’è perché io per primo faccio fatica a capire di chi ci si può effettivamente fidare. C’è troppa confusione. Abbiamo talmente tante scelte e tanta possibilità di informarci che poi alla fine c’è più confusione che quando c’era una testata giornalistica e basta. Mi approccio all’informazione con questo presupposto. Non vado a cercare il quotidiano che ha il taglio che voglio, perchè quello è limitante. Preferisco qualcuno che mi parla in un modo che a me non piace, perché penso che mi aprirà la mente e mi darà un punto di vista alternativo. Trovo limitante chi cerca di ascoltare o leggere solo chi la pensa come loro.
Per il resto c’è casino. Soprattuto sulla politica e sulla comunicazione cerco di approfondire. Non sono complottasti, ma dico che la verità non sempre puoi saperla. Viviamo in un’epoca in cui c’è troppa roba.
Nel pezzo emerge anche questo rispetto nei confronti del racconto della realtà, ma c’è anche un invito all’impegno. Non basta fare il santone da Fazio, non basta che si protesti sui social e non basta neanche fare un disco. Il problema è capire come declinare a livello pratico questo impegno.
La mia non è una chiamata alle armi o un invito a scendere in piazza perchè secondo me oggi non è quello il modo giusto di protestare. Non c’è più la cultura della protesta di piazza e per questo viene spesso percepita nel modo sbagliato e viene svilita, anche nel racconto dei media. Il mio tentativo era quello di parlare soprattutto agli artisti. Mi è capitato in passato di avere a che fare con altri personaggi della musica, magari che vengono percepiti come persone impegnate, secondo i quali l’antifascismo non è più un valore. ”Il fascismo non esiste più e quindi sei vecchio”. Io ho cercato di spiegare loro che la nostra Costituzione si basa sull’antifascismo. Possiamo parlare di tutto, ma non si può prescindere dall’antifascismo. Volevo solo riportare l’attenzione su quello. A voler non pestare i piedi a nessuno si fa il gioco di quelli a cui poi passano sopra. Questo gioco che non voler perdere degli ascoltatori, sticazzi. Quando ho visto Coez salire sul palco con la maglia di Open Arms ho fatto un plauso anche a lui, perchè è uno di quelli con un pubblico più ampio e quindi corre ancora di più quel rischio. Nonostante questo, però, ha preso una posizione. Non vedo perché non bisogna parlare di alcuni temi per paura di perdere due ascolti. Hai anche una personalità?
C’è stato un momento, fino a poco tempo fa, quando Salvini contava ancora qualcosa, in cui è andato di moda l’antisalvinismo di facciata che serviva per vendere più dischi. È successo anche quello, l’abbiamo visto. Non è quello che serve e in questo pezzo in particolare volevo dire che è necessario prendere una posizione, ma non prendiamo quella più comoda. Anche essere antisalviniani in qualche modo è stata una posizione comoda, come lo fu l’antiberlusconismo che ti dava comunque una coperta di Linus a cui potevi appoggiarti. “Sono di sinistra perché c’è l’ho con Silvio”. No, essere di sinistra sono altre cose cose. Calenda e Renzi possono anche avercela con Berlusconi e Salvini, ma non sono di sinistra neanche loro.
Dopo l’uscita del disco arriveranno i live. Cosa dobbiamo aspettarci?
Il trend è quello che abbiamo già mostrato. Cerchiamo di far muovere il culo e il cervello contemporaneamente. Ci piace la gente che balla ai concerti. Oggi il pubblico vuole cantare, ma io vorrei si muovesse anche un po’. Il groove non mancherà. Ci stiamo lavorando e dovremo far quadrare il disco nuovo coi dischi vecchi, di arrangiamento ci vorrà un po’. Quello che dovete aspettarvi è che se venite a un mio concerto vi tocca sudare.
Potete ascoltare la versione live de La tua futura ex moglie, Mango e Quando nessuno ti vede e riascoltare l’intervista a Willie Peyote nel podcast odierno di Jack.