La morte dei due tecnici italiani è avvenuta durante uno scontro armato tra un gruppo di jihadisti e miliziani, collegati con il ministero della Difesa del governo di Tripoli, che li hanno intercettati in fuga nei pressi della città di Sorman.
È in atto un duro scontro tra le milizie islamiste dell’Ovest libico e gli jihadisti del sedicente Califfato. Dopo una lunga fase di convivenza ostile tra le due componenti islamiste, l’attacco aereo statunitense sul covo di Daesh a Sabratha, lo scorso 19 febbraio, ha fatto saltare l’equilibrio.
Era chiaro che quell’attacco non poteva essere compiuto con tale precisione se non ci fossero state forze locali a guidarlo. Tutti gli osservatori e analisti sostenevano che la parte libica ha collaborato in silenzio all’operazione. Gli jihadisti hanno accusato subito le milizie islamiste di Sabratha e le autorità locali.
Il 23 di febbraio, tre giorni dopo il raid, un gruppo di Daesh ha attaccato il centro di Sabratha occupando diversi punti strategici e in particolare la sede della polozia. Dodici agenti sono stati sgozzati e le loro teste sono state lasciate per le strade. Altri sette poliziotti sono rimasti uccisi durante gli scontri.
Da quel momento, tra le milizie islamiste dell’Ovest libico c’è stata una mobilitazione generale e sono arrivati rinforzi da Tripoli, da Zawia e da Misurata. È partita un’operazione di ripulisti degli jihadisti dalla zona a ovest di Tripoli.
La vicenda ha assunto anche un aspetto patriottico in seguito alla scoperta che Daesh in quella zona era costituita quasi completamente da tunisini, algerini, nigeriani e senegalesi. I libici, uccisi o arrestati, si contavano sulle dita di una mano. Questo elemento ha infiammato ulteriormente la determinazione a estirpare Daesh dalla zona. In questa operazione hanno partecipato anche le milizie rivali della zona a sud di Sabratha, collegate con il governo riconosciuto internazionalmente.
La situazione militare a sud di Sabratha è complicata, perché è una zona di confine tra le milizie islamiste e quelle fedeli all’esercito nazionale. Nella città di Sabratha ci sono le milizie legate al Gruppo islamico combattente, un gruppo che alla sua nascita negli anni Novanta era legato ad al Qaeda, ma ha fatto una revisione critica già ai tempi di Gheddafi, per ottenere il rilascio dei prigionieri. Tutte le altre milizie di Sabratha sono dipendenti dal governo di Tripoli, dal quale ricevono le paghe per i miliziani. Ma non lontano da Sabratha a circa 20 chilometri a sud, si trovano le milizie rivali legate all’esercito nazionale libico.
In questo spazio di contrapposizione e di vuoto di potere si era inserito il sedicente Califfato, ma la sua presenza era limitata a circa 150-200 elementi quasi tutti stranieri, in particolare tunisini. La presa di posizione della fratellanza musulmana di combattere Daesh in Libia, e soprattutto dopo l’attacco aereo statunitense contro il covo di Daesh a Sabratha, hanno innescato una reazione delle milizie islamiste che hanno cacciato gli jihadisti e li hanno costretti alla fuga, principalmente verso il confine tunisino e algerino.
Gli scontri che hanno visto il coinvolgimento (come ostaggi) dei due tecnici italiani, sono avvenuti mercoledì sera a sud di Sabratha, nei pressi di Sorman. Il gruppo armato di Daesh stava scappando in auto verso il confine tunisino-algerino oppure verso la capitale Tripoli alla ricerca di un rifugio, e sono stati affrontati da milizie libiche locali all’ordine del governo di Tripoli.
Negli scontri sono morte 14 persone, tra le quali una donna di nazionalità tunisina. Un’altra donna tunisina è stata arrestata e con lei un bambino ferito, che è stato ricoverato nell’ospedale di Sabratha. La donna ha parlato di italiani presenti nel gruppo e in un primo momento è stata lanciata, da siti libici, la notizia della presenza di terroristi italiani barbuti con il sedicente Califfato.
Dall’analisi del video, pubblicato dalle autorità di Sabratha, è stato possibile risalire invece all’identità dei due tecnici italiani, dipendenti dalla ditta Bonatti, sequestrati lo scorso 15 luglio da un gruppo di uomini armati, appena entrati in Libia dalla frontiera tunisina di Ben Gherdan. La Farnesina ha individuato dalle immagini i corpi di Fausto Piano e Salvatore Failla tra le vittime. Ci sono altri due tecnici italiani sequestrati insieme alle due vittime: Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. Della loro sorte non si conosce al momento nulla di certo.
Marco Minniti, sottosegretario ai Servizi segreti italiani, ha riferito che i due uomini sono vivi ma prigionieri: “È una situazione molto delicata. Dobbiamo rispettare un rigoroso silenzio: ci sono altre due persone oggetto di sequestro, vogliamo poterle riportare a casa senza altri episodi drammatici”.
Alcuni analisti sostengono che l’uccisione di Piano e Failla sarebbe un atto di avvisaglia al governo contro le intenzioni occidentali di intervenire militarmente in Libia. A parere mio queste analisi sono lontane dalla realtà dei fatti, perché la morte dei due tecnici è avvenuta in una zona all’aperto e tutte le versioni finora fornite coincidono su questo punto. Anche la versione del blitz per liberare gli ostaggi non trova elementi a favore.