Vi è mai capitato di vedere un’aiuola circondata da filo spinato e invasa da improvvisati contadini? È quello che è successo la scorsa settimana a Bruxelles quando un gruppo di attivisti armati di rastrelli ha organizzato un’azione di protesta davanti alla sede della compagnia belgo-lussemburghese Socfin.
“Voi accaparrate la terra, noi sequestriamo la vostra”: con questo motto attivisti di diverse Ong belghe hanno voluto protestare contro Socfin, che produce gomma e palma da olio in Africa e in Asia. La stessa compagnia è finita sotto i riflettori anche dopo il rapporto pubblicato martedì scorso da Greenpeace France sugli impatti della deforestazione, in particolare nel bacino del fiume Congo.
Il rapporto “Minacce sulle foreste africane” denuncia in particolare due casi in cui la compagnia è coinvolta: nella Repubblica Democratica del Congo e a Sao Tomé e Principe. Socfin è accusata di aver deforestato per poter realizzare piantagioni per la produzione di gomma e olio di palma. Insieme a Socfin, a essere finito al centro delle proteste, in queste settimane, è il gruppo francese Bolloré.
Cosa c’entra in tutto questo il gruppo Bolloré? Il colosso francese sul suo sito vanta posizioni di rilievo in tutti settori strategici del business: dai trasporti alla logistica, dalla comunicazione ai media fino all’energia. In Italia ha un partecipazione anche nel settore bancario. Tra le tante, Bolloré possiede anche una quota di Socfin, il 38,7 per cento.
La partecipazione nella compagnia lussemburghese ha portato Bolloré alla ribalta delle cronache, soprattutto dopo la nascita di movimenti di contestazione agli investimenti di Socfin in Camerun, Sierra Leone e Cambogia.
Oltre al recente rapporto di Greenpeace che denuncia la deforestazione, la protesta contro Socfin e Bolloré è cresciuta dopo l’arresto in Sierra Leone di sei attivisti. In Sierra Leone la compagnia belgo-lussemburghese coltiva 12mila ettari di palma da olio e da anni viene contestata dalla comunità locale. Gli attivisti, supportati da Ong locali e straniere, sostengono che Socfin corrisponda allo Stato oneri di sfruttamento della terra molto bassi, per la concessione rilasciata dal ministero dell’Agricoltura.
Il 10 febbraio scorso Ong internazionali come Grain e Survie e il centro studi The Oakland Institute, impegnati contro il fenomeno dell’accaparramento delle terre, hanno lanciato un appello per la liberazione dei sei attivisti dell’associazione Maloa (Malen Affected Land Owners and Users Association), giudicati colpevoli dalla Corte di giustizia sierra leonese di aver distrutto 40 piante di palma da olio nel 2013.
Dovranno scontare dai cinque ai sei mesi di carcere. Solo uno degli arrestati è uscito pagando una multa salata, per aver incitato a commettere il crimine. Gli altri cinque rimangono in prigione. Uno dei sei condannati era stato invitato a Parigi durante i negoziati portati avanti dal gruppo Bolloré, per placare i conflitti esplosi nelle piantagioni in Sierra Leone.
Se le posizioni degli oppositori danno fastidio in Sierra Leone, le parole dei giornalisti danno fastidio a Bolloré in Francia. Tre giornalisti e due responsabili del sito Bastamag e quattro blogger sono finiti in tribunale per aver pubblicato un articolo in cui mettevano in relazione l’accaparramento delle terre in molti Paesi africani con gli interessi delle multinazionali. L’accusa è diffamazione. La testata Bastamag che ha invitato alla mobilitazione a sostegno dei giornalisti, denuncia come il fenomeno dell’accaparramento delle terre sia diventato un tabù che costa lunghi procedimenti giudiziari a coloro che vogliono parlarne.Ora rimane da vedere che effetto avranno le denunce congiunte arrivate in questi giorni da Greenpeace, gli appelli per la liberazione degli attivisti sierraleonesi e le azioni di protesta.