Il campo profughi di Idomeni, in Grecia, al confine con la Macedonia, è uno dei luoghi in cui si tocca con mano la gravità della situazione dei migranti e l’inadeguatezza della risposta europea. Il campo, attrezzato per circa mille persone, ne ospita oggi circa 5mila. “Le condizioni di vita sono inaccettabili“, denuncia Save the Children. Non sono garantiti i servizi essenziali, la protezione e il soddisfacimento dei bisogni primari, tra cui anche un’informazione adeguata.
Bambini piccoli, anche di pochi mesi, dormono per terra, chi è più fortunato sotto una tenda da campeggio, altrimenti su un cartone o avvolto in una coperta nel fango. “Di notte, quando le temperature scendono, si accendono fuochi dappertutto con ciò che si trova, plastica compresa e l’aria che si respira è nociva per la salute”, racconta Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the Children a Idomeni. ”In una condizione di totale promiscuità e confusione, capita di vedere bambini che si aggirano per il campo piangendo perché hanno perso i genitori”.
Per raggiungere il campo, tra l’altro, bisogna percorrere i 27 km che separano Idomeni dalla stazione di servizio dove si fermano i pullman e nella cui area di parcheggio sostano anche per giorni centinaia di famiglie. Chi può permetterselo prende un taxi per raggiungere il confine, ma molti fanno il percorso a piedi. A ogni ora del giorno e della notte, nel buio pesto, si vedono ai bordi della strada carovane di persone, uomini con piccoli sulle spalle, donne che spingono passeggini, adulti disabili, col rischio di essere travolti dalle macchine, in particolare nel tratto di autostrada che occorre percorrere.
A Idomeni abbiamo raccolto la testimonianza di Giovanna Di Benedetto, di Save the children.
Ascolta l’intervista realizzata da Chiara Ronzani