Il 2015 è stato un anno di cambiamenti importanti in Italia dal punto di vista demografico, come ha certificato l’Istat qualche giorno fa. Un anno di record, negativi per lo più. Cala la popolazione residente in Italia (per la prima volta, almeno dal 1952); le nascite toccano un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia (solo 488mila); il tasso di mortalità (10,7 per mille) è il più alto dal secondo dopoguerra a oggi; è diminuita la speranza di vita alla nascita, sia per gli uomini (80,1 anni con un calo dello 0,2) che per le donne (84,7 anni con un calo dello 0,3), un calo – scrive l’Istat – “mai visto di questa intensità dall’inizio della serie storica nel 1974”.
Memos ne ha parlato con Gian Carlo Blangiardo, un decano della demografia in Italia, docente all’Università Bicocca di Milano; e con Angela Genova, sociologa dell’Università di Urbino, esperta di politiche di welfare.
Cosa significa il calo della popolazione?
«È un indicatore interessante – risponde la sociologa Angela Genova – che esprime un cambiamento dell’intera società, una serie di percorsi di cambiamento che sono avvenuti negli ultimi anni. È un risultato di qualcosa che è già iniziato in passato».
«È un’accelerazione rispetto a un processo di cambiamento», aggiunge Gian Carlo Blangiardo. «Noi abbiamo conquistato nel 2015 una quantità di record, dal punto di vista demografico, che in qualche modo seguono delle tendenze che erano già in corso ma che segnalano un forte accentuamento rispetto al passato».
Il calo della popolazione residente in Italia. L’Istat spiega che dipende dal risultato combinato di tre fattori. Il primo: nel 2015 ci sono state più decessi che nascite, il saldo naturale della popolazione è stato negativo (-2,7 per mille). Secondo: il saldo migratorio con l’estero (la differenza tra il numero di nuove iscrizioni e il numero di cancellazioni tra i residenti) l’anno scorso è stato positivo (2,1 per mille). Terzo fattore, spiega l’Istat, sono le “operazioni di assestamento e revisione delle anagrafi (-1,7 per mille)”. Come si può spiegare il forte calo delle nascite e il picco della mortalità?
«Sono entrambi indicatori di una società che sta vivendo un processo di accelerazione di alcuni processi già in atto», sostiene la professoressa Angela Genova. «Quando parliamo di vita o di morte in una società stiamo parlando dei dati più sensibili, di indicatori forti. Il calo delle nascite è determinato da una serie di fattori legati al cambiamento delle condizione socio-economiche complessive dell’Italia, in particolare al cambiamento nelle dinamiche migratorie, alla riduzione dei flussi in ingresso con un calo delle nascite nelle famiglie con madri straniere. L’aumento della mortalità testimonia qualcosa estremamente significativo, rispetto al trend di questi ultimi anni. Ci sono degli elementi di carattere socio-economico e ambientale che hanno influito su questo dato. Le considerazioni più recenti dell’Istat rilevano un particolare aumento della mortalità in determinate aree geografiche: le zone del nord, nord-est, insieme alla Campania, sono quelle in cui si è riscontrato un maggiore aumento nella mortalità».
Professor Blangiardo, come si spiega il picco di mortalità (10,7 per mille, il più alto dal secondo dopoguerra) e l’aumento dell’ultimo anno nei decessi (+9,1%)?
«Occorre chiarire prima che il saldo naturale negativo (più decessi che nascite) del 2015 si era presentato anche all’inizio di questo secolo (2003, 2005 e fino al 2007). L’accentuazione è avvenuta a partire dal 2007 quando le nascite sono schizzate verso il basso e la mortalità, con qualche oscillazione, è andata verso l’alto soprattutto nel 2015. Dietro le cause e tutto ciò che determina questa distanza tra nati e morti c’è una tendenza di fondo che viene accentuata da fattori congiunturali particolarmente sfavorevoli. La natalità è diminuita anche in corrispondenza della componente straniera, mentre ci si illudeva che potesse essere la soluzione dei problemi. Per quanto riguarda la mortalità – sostiene il professor Blangiardo – l’aumento che si è registrato soprattutto nel 2015 è generalizzato su tutto il territorio. Si è concentrato sulle persone tra gli 85 e i 95 anni. Le cause del rialzo sono varie. Si sono combinati, sfortunatamente, una serie di fattori il primo dei quali è stato le mancate vaccinazioni per tutte le polemiche sorte a fine 2014. Il secondo fattore: il 2015 è stato un anno un po’ più sfavorevole dal punto di vista climatico, a differenza di anni precedenti dove c’era anche stata una bassa mortalità. Avendo avuto una bassa mortalità negli anni precedenti il 2015, le persone più fragili che sono rimaste vive l’anno precedente sono poi morte successivamente. L’Istat chiama questo fattore “effetto di rimbalzo”. Il terzo fattore, che si è sommato ai precedenti, riguarda il sistema sanitario. Le persone in più che sono morte sono le persone più fragili, deboli, più anziane, più in difficoltà economica per sostenere la propria sanità. Ciò significa – conclude il demografo dell’Università Bicocca – che il sistema sanitario italiano, che resta un buon sistema, evidentemente comincia a segnare qualche piccolo problema a furia di tagliare. Si tratta di problemi che poi vengono pagati le persone più fragili. Voglio ricordare, infine, che il picco di mortalità del 2015 era successo in passato solo nel 1943 (in guerra) e negli anni 1916-17-18».
L’intervista a Blangiardo e Genova prosegue sul tema delle disuguaglianze sociali ed economiche e su come influiscono negativamente sulle cure e la mortalità. Il demografo della Bicocca di Milano e la sociologa dell’Università di Urbino analizzano i dati – anche questi negativi – sul calo della speranza di vita, sia per le donne che per gli uomini.
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