Qualche settimana fa in Italia è apparso un appello firmato da intellettuali importanti, come Andrea Camilleri e Liliana Segre, a proposito dello studio della storia. A far discutere è stata la decisione del governo di cancellare il tema di storia tra le tracce dell’esame di maturità. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i casi di uso strumentale della storia, nella direzione di dimenticanza, revisione e faciloneria. L’appello è aperto per essere firmato da chiunque: persone famose e persone comuni, come moltissimi docenti di storia delle scuole e università italiane. Ne abbiamo parlato durante la trasmissione Il Demone del Tardi con Liliana Segre.
L’appello comparso su Repubblica ormai due o tre settimane fa, è stato promosso da lei insieme allo storico Andrea Giardina e allo scrittore Andrea Camilleri.
Il problema è grave. Lasciare da parte Storia come qualche cosa che non interessa più è grave. Solo il 3% degli studenti sceglie il tema di storia, ma onoriamo quel 3% di ragazzi.
Che pensiero c’è dietro l’idea della storia come elemento meramente accessorio?
Non sono all’altezza della risposta… quello che so è che quando vado a parlare nelle scuole di memoria e di Shoah, visto che ne sono stata testimone, trovo molti studenti increduli, non tanto perché non vogliano credere, ma perché non sanno: il programma di storia non è arrivato lì, oppure se è arrivato, ci è arrivato senza prese di posizione da parte di nessuno. L’ignoranza degli studenti non è nuova, perché sono anni che i programmi di storia non arrivano quasi mai alla Seconda Guerra Mondiale. L’appello chiedeva che si studi il Novecento, che si studi tutto il Novecento dall’inizio.
Tra gli scopi di questo appello oltre al ripristino del tema di storia fra le tracce della maturità, c’è anche l’incremento delle ore di storia nei programmi scolastici: avere più ore permetterebbe di svolgere il programma senza dover correre a rotta di collo e evitare di studiare solo superficialmente la Seconda Guerra Mondiale. La generazione che ha avuto i nonni soldati in guerra, che ne ha sentito parlare da testimoni in carne e ossa, è ormai uscita dalle scuole.
Questo è il problema. Il tempo passa e le scelte vengono fatte a prescindere dalla storia, che non per niente dai Latini era chiamata Magistra vitae. Maestra della vita perché è solo studiando la storia che si possono fare delle scelte, con la consapevolezza dei fatti che sono successi prima.
La cronaca si trasforma in storia dopo un tempo di latenza. Il tempo di latenza del ‘900 ormai sta passando. Dopo la sparizione dei testimoni diretti il rischio è quello di cadere nella dimenticanza totale.
I testimoni, sia vittime che carnefici, stanno scomparendo uno dopo l’altro perché è una questione generazionale. E allora quando non ci sarà più proprio nessuna voce che potrà dire “io c’ero, io ho visto, io ho sentito” piano piano la storia sarà cambiata, la storia sarà riletta, alla fine ci sarà forse una riga in un libro di storia e poi non ci sarà più neanche quella.
La dimenticanza nell’eterno presente che stiamo in molti casi vivendo oggi ha similitudini con la sua età giovanile e con gli anni post 1945?
Ci sono delle assonanze anche se sono cose diverse dovute alle epoche diverse. Subito finita la Seconda Guerra Mondiale c’era il desiderio di “dimenticare”, ma era diverso dal dimenticare in assoluto: era un dimenticare tra virgolette. Quello che era appena successo era talmente forte, molte persone avevano sofferto moltissimo o erano così stufe di parlare delle sofferenze degli altri, che si creò una dimenticanza simile a una specie di mare di oblio coperto da feste, da voglia di uscire, da voglia di comprare un vestito nuovo, da voglia della musica. Chi aveva da raccontare, non parlo solo delle vittime della Shoah, ma anche dei soldati che erano stati in guerra e magari avevano vissuto traversie tipo Campagna di Russia, veniva evitato! Nei bar appena cominciavano a raccontare qualcosa della guerra, veniva chiesto loro di smettere. Questo sentimento l’abbiamo sentito molto forte tutti noi reduci di qualunque tipo di battaglia e abbiamo taciuto molto, salvo una piccola élite, rappresentata bene da Primo Levi che, avendo una forza intellettuale eccezionale e una capacità di scrivere diversa da tutti gli altri, sia pure con fatica perché non trovava l’editore, è riuscito a scrivere quel libro eccezionale: Se questo è un uomo.
Siamo freschi di polemica sulla presenza di un editore neofascista al Salone del Libro di Torino che ha pubblicato una biografia del Ministro degli Interni Salvini. Qualcuno in quei giorni ha detto che in fondo, al Salone del Libro era già capitato che ci fosse un editore, che si chiama Franco Freda, che è stato accusato per la strage di Piazza Fontana, un editore neonazista. Pare proprio che abbiamo un problema: si sta spostando sempre un po’ più in là l’asticella della tolleranza. Secondo lei da questo punto di vista è un momento particolare per il nostro Paese?
Quello sul Salone del libro è un discorso, mentre quello sulla tolleranza è un altro. Nel senso che nella nostra Costituzione c’è una legge che proibisce l’apologia di fascismo, legge che è stata piuttosto dimenticata. Poi c’è il discorso della democrazia: laddove io sarei in prigione se avessi vinto tu, tu sei libero di scrivere quello che vuoi: non è da poco questa differenza. Questa è la democrazia. Quindi quando si è parlato del Salone del Libro mi sono posta queste domande. Ma è anche vero che ci sono stati altri libri fascisti presentati al salone di Torino, perché la libertà di stampa finisce paradossalmente per permettere di esistere anche al’apologia di fascismo, che in quanto reato andrebbe vietata… Invece la tolleranza si è allargata sempre più fino a permettere quello che per legge sarebbe proibito. Quindi è una specie di circolo vizioso che si è aperto, è un circolo che non si sa dove comincia dove finisce.
Concorda che in questo periodo l’asticella si sposti più rapidamente di prima?
Sicuramente. È un argomento che in un certo senso c’entra col discorso della storia: se non la si studia, se non ci si costruisce un giudizio sul passato, tutto può tornare.
Nel paradosso dell’eterno presente questo discorso rischia di essere catalogato come un discorso vecchio.
Io parlo da 30 anni e ovviamente ho incontrato decine di migliaia di ragazzi. La risposta che ricevo è sempre straordinaria: quando parlo magari ci sono mille ragazzi presenti, però io parlo a quel singolo studente che diventerà candela della memoria. È su quell’uno che io spero che non si spenga la candela, io spero sempre che sia quell’uno che terrà accesa la memoria, è importante. Entrata in senato ho sentito il dovere dentro di me di fare un disegno di legge contro le parole dell’odio: il progetto è hate speech, in inglese “le parole dell’odio”. Perché attraverso le parole dell’odio poi si passa ai fatti e questo io l’ho visto. Il mio progetto è questo, contro le parole dell’odio.
Che cosa la affatica di più dell’oggi e che cosa l’entusiasma di più?
Quello che mi affatica di più è vedere la mancanza di buon gusto nelle trasmissioni televisive, mi affaticano le parole dell’odio a tutti i livelli, anche per strada per un sorpasso. Per una questione qualunque c’è subito un atteggiamento di odio. Mentre continuo ad essere sbalordita nel vedere i ricercatori: quelli che trovano le nuove cure per i tumori, quelli che si sacrificano per gli altri, quelle menti aperte che non chiedono perché ti danno da mangiare. Questo si sta allargando moltissimo e questo è molto bello e fa molto sperare.
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