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“Naila e la rivolta” è la storia di tutta la Palestina

Naila Ayesh

Quella di Naila Ayesh è una storia dolorosa, come tante ce ne sono in Palestina ma la sua in particolare è diventata un simbolo di lotta femminista non violenta per la liberazione dall’oppressione isreliana. Naila, infatti, è stata la leader del network di donne palestinesi che durante la prima intifada, scoppiata nel 1987, è diventato protagonista in  prima linea della resistenza a Israele. E tutta questa vicenda è diventata un film intitolato “Naila e la rivolta” realizzato dalla regista Julia Bacha. E’ una storia di amore, di famiglia e di libertà e traccia il ruolo centrale delle donne che sono state, e sono tutt’ora, una parte fondamentale dell’organizzazione politica e sociale palestinese. Naila Ayesh è stata ospite di Radio Popolare e ci ha parlato del documentario a lei dedicato.

Non è solo la mia storia, ma è la storia di tutti i palestinesi che sono sotto l’occupazione israeliana. Però la mia vicenda è stata usata come modello perché è lunga e complicata. Quando ero piccola l’esercito israeliano aveva demolito la mia casa e la mia famiglia era stata sempre tartassata senza motivo. Per questo io sono cresciuta con l’idea che è necessario fare resistenza a questi soprusi, ma una resistenza non violenta. Poi quando mi sono sposata mi hanno arrestato, hanno deportato mio marito, mi hanno messo ancora una volta in prigione e mi hanno interrogata fino allo stremo, nonostante fossi incita di sei mesi. E purtroppo le violenze di quel periodo mi fecero perdere il bambino. Dunque, la regista del film ha deciso di prendere la mia storia per farla diventare, come d’altronde è davvero, la storia di tutti i palestinesi.

Integrando scene animate con interviste e filmati d’archivio, il documentario dipinge un’immagine indelebile delle donne che lottano per l’autodeterminazione palestinese e che anche oggi, all’indomani della vittoria di Netanyahu, sono in prima linea.

Tutte le donne palestinesi sono attive nella resistenza non violenta all’occupazione, come resistono anche tutti gli altri, certo, ma per le donne è diverso perché subiscono sul loro corpo molto di più, non solo al livello fisico ma anche affettivo. Perdiamo i nostri bambini, o li vediamo nascere ma senza una casa, vediamo le nostre famiglie smembrate, le nostre sorelle lontane e impossibili da raggiungere. Per esempio io vivo a Ramallah e mia sorella a Gaza e tra noi non c’è nessun contatto.. e le cose vanno sempre peggio. Oggi, in Palestina siamo davvero in una brutta situazione perché siamo divisi, non siamo uniti e questo dà a Israele ancora di più l’occasione per fare quello che vuole sfruttando la nostra debolezza politica. Questa spaccatura ha effetti diretti sulle donne che devono tenere unite famiglie, fazioni, devono lavorare ancor di più per mediare e moderare. Quindi possiamo dire che il ruolo della donna palestinese è duplice: da un lato lotta contro l’occupazione e dall’altro combatte per i suoi diritti e per vivere una vita serena.

Il primo messaggio che arriva da questo documentario è che noi palestinesi dobbiamo essere uniti come lo eravamo durante la prima intifada e dobbiamo dimostrare oggi alle nuove generazioni che se stiamo uniti siamo più forti. L’altro messaggio è che la solidarietà tra di noi è importantissima come lo è quella da parte degli altri e noi ora speriamo nella solidarietà del mondo perché siamo sempre sotto occupazione e la situazione in Palestina potrebbe peggiorare ancora.

Intervista a Naila Ayesh

  • Autore articolo
    Bianca Senatore
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    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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    1) L’incubo di Gaza visto con gli occhi di una 23enne. In esteri la testimonianza da Deir el Balah: “Mi manca ballare e ridere con le amiche”. (Aya Ashour) 2) Washington potrebbe abbandonare gli sforzi per la pace in Ucraina. Marco Rubio da Parigi lancia un avvertimento che lascia più domande che risposte. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti. Harvard dice no a Trump, lui congela i fondi. Lo scontro del presidente con le università americane è sempre più pericoloso. (Roberto Festa) 4) Un posto sicuro per la scienza. L’università di Marsiglia offre asilo accademico ai ricercatori in fuga dagli Stati Uniti. Quasi 300 fanno domanda in un mese. (Francesco Giorgini) 5) Messico, mentre il governo nega la responsabilità dello stato nelle sparizioni forzate, nel week end le famiglie dei desaparecidos si preparano alle giornate nazionali di ricerca delle persone scomparse. (Andrea Cegna) 6) Mondialità. La vittoria schiacciante di Daniel Noboa e la sconfitta del “Correismo” in Ecuador conferma i cambiamenti politici in corso in America Latina. (Alfredo Somoza)

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