C’è il piano politico immediato rispetto a cui non si può che rimanere costernati di fronte a un uomo adulto, di oltre 45 anni, potentissimo perché fa il ministro dell’Interno e -in pratica- il capo del governo, che se la prende con un ragazzino inerme.
Del fatto che Salvini si sia comportato da bullo nei confronti di Rami, il 13enne che ha contribuito a evitare una strage sul bus a San Donato Milanese e che ha chiesto che la cittadinanza italiana sia un diritto per tutti i figli di immigrati e non un premio speciale per lui, è stato detto e scritto.
Se però dalla rissa quotidiana cui è ridotta la politica proviamo a fare lo sforzo di allargare lo sguardo a un altro piano, la vicenda assume connotazioni interessanti.
Che senso ha polemizzare con un ragazzino? Forse, un motivo c’è.
Un giorno, la generazione di Rami inizierà davvero a fare politica. E non manca molto. Anzi, quel giorno per certi versi è già arrivato. I centomila di Milano alla manifestazione per il clima il 15 marzo, le decine di migliaia nelle altre città italiane, vivono già in una realtà dove la concezione di un mondo chiuso, fondato sull’apartheid tra etnie e nazionalità, razzista, discriminante, dove esistono “gli italiani” e “gli stranieri” appartiene al passato.
Naturalmente non tutti i giovani sono così. I gruppi di estrema destra, tra cui la stessa Lega, continuano a fare proseliti. Ma tra le ragazze e ragazzi del 15 marzo -la generazione Greta, la generazione Rami, la generazione dei diritti civili, dell’ambiente, della cittadinanza- coloro che oggi amano farsi chiamare “sovranisti” sono semplicemente il vecchio.
E allora forse la vera ragione per cui Salvini se l’è presa con un tredicenne non risiede nel calcolo, nell’obiettivo di ottenere consensi. E’ più probabile che la ragione risieda nel sentore -non sappiamo quanto consapevole- che il futuro non è il mondo chiuso dei leghisti e in genere dei fascisti più o meno dichiarati ma è il mondo aperto e inclusivo della generazione di Rami.
Salvini non lo sa, il suo inconscio sì